Tra i flagelli inflitti al sistema dalla crisi, i più evidenti sono quelli sofferti dal mercato occupazionale. Chi fa parte del mondo del lavoro ne sta subendo i danni; ancor di più chi vorrebbe farne parte, ma non può accedervi. Se non – quando va bene – attraverso contratti privi di ogni tutela e garanzia, ammantati di indipendenza, ma, di fatto, praticati in regime di vera e propria subordinazione. Il governo, ieri sera, si è mosso. «Proponendo misure, tutto sommato, condivisibili. Ma che dovrebbero essere inscritte in un disegno ben più ampio e strategico», è il giudizio di Tiziano Treu,  senatore del Pd ed ex ministro del Lavoro interpellato da ilSussidiario.net. Le misure che il Cdm di ieri sera, secondo le indiscrezioni, ha introdotto nel maxiemendamento alla legge di stabilità saranno presentate al G20 che ha inizio oggi a Cannes. Prevedono zero contributi per tre anni sulle assunzioni di nuovi apprendisti (per aziende fino a nove dipendenti), l’incremento di un punto per i contributi previdenziali dei co.co.pro e la riduzione del 25% dei contributi per l’assunzione di donne con contratti di inserimento; e ancora: più margini di azione alle Regioni nel definire il gettito Irap e, infine, la possibilità di licenziare quei dipendenti pubblici in esubero che entro due anni non accettino proposte di trasferimento o di nuovo impiego.



«Si tratta di misure che vanno nella direzione che da tempo avevamo chiesto anche noi dell’opposizione. La norma relativa al contratto d’apprendistato, ad esempio, è sicuramente una delle vie principali e il fatto di limitarlo alle piccole aziende può essere utile», dice Treu. «Anche il provvedimento sul contratto di inserimento delle donne, benché sia, in parte, limitativo, lo trovo sensato». Ma tutto ciò non basta: «Di fronte a una situazione come quelle attuale, tali accorgimenti andrebbero inseriti in un disegno più serio e organico sulla crescita. Il rischio è che rappresentino una goccia nel mare». Secondo Treu, il problema sta a monte: «Andava preso per tempo. In Europa, da almeno due anni, si sta facendo un’azione massiccia sulla disoccupazione giovanile, concentrata su due gruppi: quelli che hanno abbandonato la scuola, la cui percentuale, in Italia, è ancora molto alta, e che sono i più esposti alla disoccupazione;  e quelli che hanno un titolo scolastico poco spendibile, intrappolati, spesso, in contratti precari».

I numeri sono allarmanti: «In Italia, ci sono centinaia di migliaia di persone in queste due situazioni; andrebbero messe sotto osservazione. Sono votate a una vita infelice e andrebbero seguite come negli altri Paesi. Con misure di sostegno al reddito, corsi di recupero formativi molto intensi, contributi consistenti alle aziende che assumono – non solo per i contratti di apprendistato, ma anche per il lavoro normale – e sostegno a chi è più qualificato e vuole emettersi in proprio». Sì, ma come hanno fatto in Europa?

«Con una terapia d’urto – spiega -. Utilizzando, cioè, ingenti risorse. Hanno capito, infatti, che si tratta di un investimento sul futuro, non di una spesa». È utile, ma non sufficiente, anche l’iniziativa sui co.co.pro. «Aumentare di un punto la contribuzione consente di implementarne leggermente la pensione. Tuttavia, restano una categoria molto debole. Si tratta di lavoratori formalmente autonomi ma, sostanzialmente, dipendenti, cui occorrerebbe garantire le tutele delle quali dispongono gli altri, nei casi di maternità, o malattie». Sulla flessibilità nel pubblico impiego, afferma, infine: «È bene che ci sia un po’ più di mobilità; ma, per quanto riguarda gli esuberi, occorre sempre agire con estrema razionalità». 

 

(Paolo Nessi)