Di recente, in un’intervista, il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, ha espresso il suo timore per un ritorno pericoloso del terrorismo. Naturalmente, l’uscita del titolare del Welfare ha dato il via a un acceso confronto politico e sociale, visto che sulla questione si sono espressi i leader politici e sindacali. Sacconi ha già vissuto il colpo della mano armata, quando nel 2002 (19 marzo) le nuove BR freddarono, davanti a casa, Marco Biagi, Professore di Diritto del Lavoro e allora consulente del Ministero del Lavoro di cui Sacconi era Sottosegretario. Il paragone con quel periodo regge? Ricordiamo che qualche anno prima, il 20 maggio 1999, un altro giuslavorista, Massimo D’Antona, era stato vittima del terrorismo.



Diciamo che, come allora, oggi viviamo un clima sociale incandescente, forse addirittura acuito da una crisi economica di cui non si vede via d’uscita; ci sono bersagli individuati – e Sacconi è uno di questi -, una feroce e sterile dialettica politica e – soprattutto – la discussione intorno allo Statuto dei Lavoratori e all’articolo 18, peraltro già avviata circa due mesi fa con l’articolo 8 della manovra finanziaria bis. Di fatto, ogni volta che si è tentato di modernizzare il mercato del lavoro, il partito armato ha reagito. È quello che è successo nel 1983 all’allora senatore socialista Gino Giugni che, dopo aver ricoperto un ruolo chiave nella stesura dello Statuto dei Lavoratori, fu gambizzato in un attentato poi rivendicato dalle BR (3 maggio). Teniamo presente anche l’economista Ezio Tarantelli, ucciso dalle BR il 27 marzo 1985 dopo aver presentato una proposta di riforma della scala mobile.



Come si può facilmente ricordare, la storia italiana in relazione alla modernizzazione del lavoro e delle sue forme è segnata da perdite umane notevoli. Non si capisce quindi come il terreno del lavoro sia costantemente il teatro dello scontro politico anziché del dialogo e del confronto, quando – venendo semplicemente agli ultimi 15 anni, quelli nel segno di Marco Biagi prima consulente di Tiziano Treu (primo Governo Prodi) e poi di Roberto Maroni (secondo Governo Berlusconi) – ciò che è stato attuato è in buona misura condiviso dalle forze politiche: il solco tracciato dal “Pacchetto Treu” (1997) è stato infatti sviluppato e superato dalla “legge Biagi” del 2003 e dai suo decreti attuativi, impianto poi riconosciuto come valido dal governo di centrosinistra del 2006, che si è limitato a modificare la legge del 2003 con due emendamenti.



Lo stesso Senatore del Pd, Pietro Ichino durante questa legislatura ha raccolto 54 firme (la metà del gruppo del Pd al Senato) per una proposta di riforma – anche – dell’articolo 18. E allora, vien da chiedersi: perché tanta bagarre?