Altre due ipotesi ventilate di recente rischiano di togliere il sonno ai pensionandi e, per la prima volta, ai pensionati. Non è escluso che, per i primi, possa essere introdotta per le pensioni di anzianità la “quota 100”, mentre, per fare cassa, il governo potrebbe decidere di bloccare gli adeguamenti all’inflazione dell’assegno mensile. «La riforma andrebbe interpretata nella sua interezza. E, prima che vi sia una proposta scritta nero su bianco, non è il caso di lasciarsi prendere dal panico. Sta di fatto che queste due misure, se introdotte automaticamente, potrebbero non essere prive di conseguenze negative», commenta, raggiunto da ilSussidiario.net Luca Spataro, docente di Economia politica presso l’Università degli studi di Pisa.
Le conseguenze di cui parla rappresenterebbero un controsenso rispetto al principio di equità cui dice di ispirarsi il governo Monti. «Tale principio – continua – anima, ad esempio, la misura che prevede di applicare il sistema contributivo a tutti i lavoratori, anche a quelli che, sino a oggi, hanno maturato i contributi in regime retributivo (ovviamente, i contributi pregressi continueranno a essere conteggiati con il metodo precedente). Ovvero, ridurre i regali attuariali fatti, finora, ad alcuni lavoratori, a scapito di altri.
Va in tal senso anche l’ipotesi di introdurre la cosiddetta “quota 100”». Per capirci qualcosa, anzitutto occorre spiegare cosa sono le quote: «fino al 31 dicembre 2012 – dice – è possibile andare in pensione, se la somma tra anni di contributi ed età anagrafica raggiunge quota 96. Dal 1 gennaio 2013, invece, occorrerà raggiungere quota 97. Questo vale per i lavoratori dipendenti. Per gli autonomi, stessi criteri, ma ciascuna quota è maggiorata di un anno».
È possibile andare in pensione con un altro criterio: raggiunti i 40 anni di contributi, a prescindere dall’età. «La quota 100 sarebbe applicata in questo caso. Per far sì che nessuno esca dal lavoro prima di aver raggiunto i 60 anni di età». Tuttavia, occorre cautela. «Costoro, infatti, spesso hanno iniziato a lavorare molto giovani e svolto per tutta la vita impieghi usuranti. Resta, inoltre, da capire se tale quota sarebbe applicata anche agli altri lavoratori. «Secondo una delle versioni che va per la maggiore, andrebbe in ogni caso preservato il principio della libera scelta. Facendo in modo che, anche la quota 100 sia legata a un meccanismo di premi e sanzioni a seconda che si vada in pensione più tardi o prima. Secondo Spataro, difficilmente il principio sarà mantenuto. «Per il semplice fatto – spiega – che lo Stato non dispone delle risorse necessarie. Dovrebbe calcolare, quantomeno, le sanzioni e i premi in modo tale da rendere il saldo finale nullo».
Per quanto riguarda, invece, lo stop all’adeguamento all’inflazione per chi la pensione la riceve già, Spataro afferma: «Si tratterebbe di una scelta drammatica. Oggi l’inflazione è al 3-4%, e slegare le pensioni dal costo della vita comporterebbe un impoverimento reale». Secondo la Cgia di Mestre, un pensionato che ottiene un assegno mensile di 1600 euro netti – 20mila l’anno -, perderebbe circa 480 euro l’anno. «Si tratta di un dato verosimile. Basta applicare il 3% a 20 mila euro, e il conto è presto fatto. Sarebbe, in sostanza, una manovra decisamente poco giustificabile».