Diventa sempre più difficile per il Presidente del Consiglio, Mario Monti, e per il ministro del Lavoro, Elsa Fornero, giustificare la riforma delle pensioni, specie quelle di anzianità. I sacrifici chiesti agli italiani in campo previdenziale non sono pochi: aumento dell’età pensionabile, passaggio al sistema contributivo per tutti con il sistema pro-rata, aumento degli anni di contributi necessari per le pensioni di anzianità (che saranno eliminate dal 2018) e abolizione del sistema delle quote. Questo vuol dire che alcuni italiani dovranno ritardare l’uscita dal mondo del lavoro anche di sette anni rispetto alla meta che vedevano vicina. Per non parlare di quelli in mobilità o in cassa integrazione che rischiano, una volta finiti i sostegni pubblici, di ritrovarsi senza lavoro e senza gli anni di contributi necessari per andare in pensione. Come se non bastasse, il Governo ha chiesto un sacrificio anche a chi in pensione ci è già, con la deindicizzazione per le pensioni superiori al doppio del minimo.



Dunque tanti sacrifici, che però cozzano con una serie di privilegi in campo previdenziali che stonano decisamente con il clima di austerità imposto. I dipendenti del Senato (non i politici), infatti, godono ancora del sistema retributivo. Il che vuol dire che la loro pensione mensile sarà parametrata alla loro busta paga, che è decisamente più alta della media dato che in passato alcune inchieste avevano evidenziato che il loro reddito medio pro capite sfiorava i 140.000 euro annui. I primi a passare al sistema contributivo saranno i nuovi assunti del 2012, che godranno però di una maggiorazione del 18%. Inoltre, a Palazzo Madama la pensione di anzianità arriva prima, dato che molto frequentemente il Presidente del Senato, prima di lasciare l’incarico, “regalava” due anni di contributi ai dipendenti. Problemi simili esistono anche alla Camera dei deputati, dove lo stipendio medio di un dipendente è di poco superiore ai 130.000 euro l’anno, e alla Presidenza della Repubblica, dove per la pensione di anzianità bastano 35 anni di contributi e 60 anni di età.



Se questi vi sembrano privilegi inaccettabili, meglio che non sappiate cosa accade in Sicilia, dove i dipendenti regionali che abbiano un parente gravemente disabile possono andare in pensione di anzianità con 25 anni di contributi (20 se donne). Se può sembrare un “privilegio” più accettabile, dato che si tratta di prendersi cura di un familiare disabile, è però curioso che abbiano usufruito di questa possibilità ben 286 persone su 297 che nel 2010 sono andati in pensione rispetto ai termini ordinari.

I forestali vengono invece premiati per il loro lavoro ritenuto usurante con un anno di contributi ogni cinque. Ma non è tutto, perché la riforma Dini del ’95 (quella che ha cominciato a introdurre il sistema contributivo), per i dipendenti pubblici siciliani è stata introdotta dal 2004, ma non ha mai riguardato chi lavora per la Regione. Inoltre, per il sistema retributivo conta solo l’ultima busta paga: in questo modo si possono sfruttare fino all’ultimo gli scatti di anzianità.



Decisamente tutti privilegi poco giustificabili. Come ricorda Gian Antonio Stella su Il Corriere della  Sera di oggi, conviene che Mario Monti ed Elsa Fornero li tengano ben presenti e che cerchino di eliminarli.