Martedì scorso, all’Unione Industriale di Torino, è stato firmato l’accordo per il nuovo contratto di lavoro degli 86.200 lavoratori del gruppo Fiat. L’intesa, raggiunta dall’azienda con Fim-Cisl, Uilm-Uil, Fismic, Ugl e Associazione Capi e Quadri Fiat, ricalca il contratto collettivo di lavoro del 29 dicembre 2010 applicato a Pomigliano. Tra le principali novità ci sono la maggiorazione dal 50% al 60% dello straordinario al sabato e l’aggiunta ai cinque scatti di anzianità biennali di un sesto scatto quadriennale. Per il 2012 i lavoratori riceveranno un premio straordinario come voluto dai sindacati, pari a 600 euro che verrà pagato a luglio, e lavoreranno sulla base di 18 turni (3 al giorno su 6 giorni), con una settimana di 6 giorni lavorativi e la successiva di 4 giorni; l’azienda potrà chiedere di lavorare al sabato e fino a 120 ore di straordinario (80 in più di quelli attuali). Sono previste anche la riduzione delle pause da 40 a 30 minuti con la monetizzazione in busta paga dei 10 minuti tagliati, norme per contenere l’assenteismo, la clausola di responsabilità in base alla quale chi non rispetta gli accordi verrà sanzionato in termini di contributi e permessi sindacali. Non ci saranno più le Rsu (rappresentanti sindacali eletti in azienda), ma le Rsa (rappresentanti sindacali non eletti ma nominati) che verranno nominate dalle organizzazioni sindacali firmatarie del contratto sulla base di quanto previsto dall’articolo 19 dello Statuto dei lavoratori. In questo modo, la Fiom-Cgil, non avendo firmato, resterà fuori dalle fabbriche.
Sergio Marchionne, Amministratore delegato della Fiat Spa e Presidente di Fiat Industrial, non ha chiaramente nascosto la sua soddisfazione: “L’intesa firmata segna una svolta storica per la nostra azienda e i suoi lavoratori. È questo un segnale di grande speranza per il Paese. Questo dimostra che i grandi passi si possono compiere quando si uniscono le forze, quando si lavora tutti nella stessa direzione e quando c’è una reale condivisione di intenti. È un esempio che esiste una larga parte della società che dice no agli antagonisti per professione, che ha voglia di rimboccarsi le maniche e risolvere i problemi. E che, soprattutto, è disposta a impegnarsi per trovare le soluzioni. Non è stato facile arrivare a un accordo, ma tutti quelli seduti al tavolo hanno compreso perfettamente che non era più possibile restare legati ai modelli del passato, gli stessi che hanno portato i nostri stabilimenti italiani ad allontanarsi negli anni dagli standard del resto del mondo. Tutti quelli seduti al tavolo – prosegue Marchionne – hanno sempre lavorato allo stesso obiettivo: quello di creare un percorso che premiasse i lavoratori per il successo dell’azienda e garantisse, allo stesso tempo, a Fiat e Fiat Industrial di diventare più competitive. A quei sindacati che hanno abbracciato con noi questa sfida va riconosciuto il coraggio di cambiare le cose, va dato atto di una mentalità innovativa che è l’unica in grado di costruire una base solida per il futuro, per crescere e progredire”.
Mercoledì, alla presentazione della nuova Fiat Panda, sono intervenuti anche il ministro dello Sviluppo economico, Corrado Passera e quello del Lavoro, Elsa Fornero; hanno visitato lo stabilimento di Pomigliano D’arco accompagnati dallo stesso Marchionne e dal Presidente del Lingotto, John Elkann, mentre alcune decine di manifestanti presidiavano l’area antistante il varco principale dello stabilimento. I manifestanti, iscritti a Slai Cobas, Fiom e appartenenti al mondo dell’associazionismo e di alcuni partiti di sinistra, hanno esposto alcuni striscioni, e occupato in parte la carreggiata stradale, ma sono stati invitati dalle forze dell’ordine a lasciare la strada per consentire il passaggio ai pullman di giornalisti provenienti da Napoli.
Intanto, la Fiom non si arrende e si prepara a contrattaccare l’accordo che cancella la sua presenza nelle fabbriche Fiat: oggi la direzione nazionale convocherà l’assemblea dei delegati (non si sa ancora se prima o subito dopo Natale), ma già nelle ultime ore la questione è stata al centro di una riunione con i segretari provinciali Fiom delle realtà dove è presente la Fiat, alla quale ha partecipato anche la leader Cgil, Susanna Camusso. Il sindacato di Maurizio Landini si rivolge al governo a cui chiede “di non stare a guardare”, perché “il contratto peggiora le condizioni di lavoro e limita le libertà sindacali”. La Fiom accusa Fim e Uilm di “avere accettato di ridursi a sindacato aziendale e corporativo, abdicando così alla loro storia di sindacati confederali” e di avere firmato “un accordo che cancella il contratto nazionale e di fatto estende l’accordo di Pomigliano in tutte le fabbriche, senza avere ricevuto alcun mandato dai lavoratori”. Giorgio Airaudo, responsabile Auto, critica la decisione di fare votare sull’accordo le Rsu e non i lavoratori “come ultimo atto prima del loro scioglimento”: “È questa una foglia di fico e una violazione dell’accordo del 28 giugno che prevede il voto delle Rsu solo per gli accordi aziendali. La Fiat ha costretto alla resa una parte del sindacato con il superamento del contratto nazionale de lavoro. Per quel che ci riguarda, la vertenza continua”.
Come dice Marchionne, si tratta in effetti di un passo storico per le nostre relazioni industriali. Al di là dell’eterogeneo settore metalmeccanico, tutto il mondo della componentistica dell’auto potrebbe seguire le orme dell’azienda torinese; è difficile pensare a un contratto Fiat e a un contratto del restante sistema automobilistico. Il confronto e la competizione di diversi modelli di relazioni industriali è tra l’altro e senza dubbio un fatto positivo: può consentire l’emergere di difetti e ritardi del sistema tradizionale.
Ricordiamo anche che altre aziende, grandi e piccole, hanno nell’ultimo anno fatto scadere la tessera dell’Associazione degli industriali e che altre ancora hanno annunciato la loro dipartita (Ibm, Ansaldo, Fincantieri). Il caso Fiat, nel suo complesso, denota proprio l’impegno di quasi tutto il sistema lavoro al fine di avere relazioni industriali migliori, costruttive e adeguate alle esigenze del mercato. Ma se guardiamo la storia delle relazioni industriali in Italia, dobbiamo ricordarci che gran parte del sindacato ha proposto, fin dalla metà degli anni ‘50, una visione dello sviluppo del sistema produttivo legato all’efficienza aziendale per poter rivendicare vantaggi per tutti i lavoratori.
Vien da chiedersi allora se, nella fattispecie, tali condizioni siano state davvero raggiunte, oppure se il sindacato maggioritario si è piegato al volere del padrone, come sostiene la parte minoritaria. Certo è che l’esclusione della Fiom per non aver firmato alcun contratto collettivo applicabile nell’azienda, consentita dall’articolo 19 dello Statuto dei lavoratori e dalla liberalizzazione delle rappresentanze sindacali (referendum del ‘95 sostenuto anche da Rifondazione Comunista), costituisce una lacerazione con cui il sistema tornerà a fare i conti.