In questo periodo di incertezza economica ci sono molti trend che sono diventati difficilissimi da prevedere e altri che si stanno totalmente invertendo, sia in Italia che all’estero. Dal mio osservatorio cinese, grazie anche al fatto che mi occupo di risorse umane, sto notando una forte inversione di tendenza verso le aspirazioni lavorative dei giovani cinesi laureati o comunque con una specializzazione alta. Fino a circa un anno fa l’obiettivo per questi giovani professionisti era entrare in una famosa multinazionale straniera. I vantaggi erano principalmente lo stipendio alto rispetto ad aziende cinesi dello stesso settore, la possibilità di fare esperienza internazionale lavorando con manager stranieri e l’opportunità di viaggiare frequentemente nella nazione della casa madre per formazione o aggiornamenti, o addirittura per lavorare stabilmente nella sede principale. Ma con la crisi economica molte multinazionali straniere stanno tirando i remi in barca e per ridurre i costi stanno licenziando o limitando stipendi e benefit.



È emblematico il caso di Vincent Chen, un giovane ingegnere aeronautico di 27 anni di Pechino che ha deciso di lasciare la sua azienda, un produttore di aerei di livello mondiale, per un gruppo cinese del settore aviazione. E insieme a lui altri tre colleghi! Chen dice anche che negli ultimi 18 mesi, la metà dei sui colleghi a Pechino ha perso il lavoro, e di questi il 70% si è ricollocato in aziende statali. Ed è questo principalmente il nuovo trend: i giovani talenti in Cina sono alla ricerca di un posto di lavoro in aziende multinazionali cinesi, in aziende statali o in aziende con un forte background governativo, come municipalizzate e partecipate.



Le grandi aziende cinesi stanno cercando di attrarre esecutivi e manager con pacchetti bonus migliori (in Cina il bonus di fine anno è molto importante sia da un punto di vista economico che sociale), con possibilità di carriera più rapida e con maggior potere decisionale. Le multinazionali straniere in passato offrivano stipendi mediamente più alti, ma ora sono diversi i casi dove manager stranieri si sono visti portare via i migliori talenti da parte di aziende cinesi per stipendi due o tre volte superiori agli attuali. Un altro elemento di attrazione è che molte aziende cinesi stanno progettando di andare in Borsa e offriranno quindi azioni a prezzi vantaggiosissimi ai dipendenti interni, fornendo opportunità di investimenti oltremodo interessanti. Alcuni dipendenti hanno guadagnato milioni di yuan in pochissimi giorni.



Ci sono poi giovani cinesi che fanno scelte lavorative legate alla qualità della vita. Esemplificativo è il caso di Betty Xin, una 26enne di Pechino che lavorava in una banca di investimenti stranieri e che ha deciso dopo essersi sposata di andare in una compagnia di investimenti con background locale. La motivazione è che nella banca straniera doveva lavorare 12 ore al giorno per 6 giorni alla settimana, con grande intensità e stress dovuto alla competizione per fare carriera, mentre nell’azienda statale lavora dalle 9:00 alle 17:00, senza straordinari e anche se lo stipendio è inferiore del 30%: finalmente ha del tempo libero e potrà pensare ad allevare un figlio.

E bisogna anche considerare che se fino a poco tempo fa nelle aziende statali gli stipendi erano uguali per tutti i dipendenti dello stesso livello, retaggio del passato comunista della Cina, ora invece gli stipendi variano singolarmente in base alle performance e ai risultati, con in più il vantaggio della stabilità e della sicurezza. Inoltre, prima per accedere alle aziende governative serviva almeno un master, ora l’accesso parte dalla laurea normale.

Un altro tema da non sottovalutare che fa preferire le aziende cinesi è che spesso nelle multinazionali i dipendenti cinesi non hanno accesso a documenti consultabili dai loro pari grado stranieri, creando un clima di sfiducia e di poca collaborazione.

Anche per questo motivo nelle aziende straniere si fa carriera più lentamente: le multinazionali, infatti, hanno strutture gerarchiche standardizzate e ben consolidate, con percorsi di carriera graduali e a volte molto lenti, specialmente nei momenti di crisi. Le posizioni sono sempre molto chiare e specializzate. Una volta raggiunti certi livelli è difficile avanzare ulteriormente per i manager cinesi, ed ecco perché spesso passano ad aziende locali, forti dell’esperienza fatta nella multinazionale estera. In ogni caso, dovesse invertirsi questo trend, sarà sempre possibile per questi talenti tornare in una multinazionale con un’esperienza ancora più consolidata.

Ci sono però anche degli studi di settore che indicano che circa il 20% dei talenti che si spostano in un’azienda statale cinese rassegnano le dimissioni entro 18 mesi, a causa soprattutto della cultura aziendale diversa (ormai erano abituati all’ambiente multinazionale), alla comunicazione interna spesso inefficace (pochissime riunioni) e a promesse non mantenute dai datori di lavoro. Probabilmente il trend è più forte per i giovani talenti che non per i manager con parecchi anni di esperienza, meno dinamici nelle loro scelte lavorative e di vita.

La mia opinione è che ci sia davvero un cambiamento in atto, ma solo in quei settori dove la Cina si sta lanciando con successo, come quello dei trasporti, specialmente automotive, ma anche ferroviario e aviazione civile, bancario e investimenti e il settore green energy. Rimane l’appeal della multinazionale per i settori dove brand e qualità contano di più, come la moda o i macchinari industriali e di precisione.

In ogni caso la Cina si conferma un Paese ricco di contraddizioni, in forte sviluppo interno e con seri problemi di reclutamento e job hopping per le multinazionali straniere che vogliono puntare sui talenti cinesi per il proprio sviluppo.

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