L’outplacement è uno strumento che agevola la ricollocazione delle persone che rischiano di rimanere senza occupazione, fungendo, soprattutto in una fase come quella attuale di ripresa lenta e non certo indolore, da concreto paracadute, da vero e proprio ammortizzatore sociale. Un ammortizzatore sociale attivo, però.



Previsto dalla legge Biagi, è un servizio reso da agenzie private, accreditate presso il Ministero del Lavoro, che intervengono su incarico dell’azienda per favorire il reimpiego dei dipendenti. Istituto in crescita, ma purtroppo ancora poco utilizzato in sede di trattativa aziendale in caso di licenziamento o riconversione, si sostanzia in attività di consulenza ed assistenza, in interventi specialistici qualificati da parte di professionisti esperti in tutte le problematiche relative alla analisi delle capacità e delle competenze dei lavoratori, alla riqualificazione professionale, alla gestione della carriera, alla formazione mirata e sostenibile, all’incrocio con le richieste del mercato.



Nato negli Stati Uniti alla fine degli anni Sessanta per la ricollocazione dei dipendenti della Nasa impegnati nel Progetto Apollo, è stato utilizzato in Italia, per la prima volta, nel 1986, a Genova, con l’obiettivo di ricollocare oltre 250 impiegati, in seguito alla chiusura dello stabilimento Italsider.

Si stima che l’outplacement possa arrivare a ridurre fino ad a un terzo il tempo di inattività del lavoratore, anche se, ovviamente, molto incidono fattori quali l’età e il contesto geografico del lavoratore, la sua formazione e la sua flessibilità. In caso di ricorso all’outplacement, la ricollocazione dei lavoratori avviene con maggiore facilità, anche in tempi relativamente brevi, pari ad un periodo medio di circa 6 mesi.



Traguardi notevoli, oggetto di attenzione da parte di esperti e giuslavoristi: è recente il disegno di legge bipartisan, nato per iniziativa di Giuliano Cazzola, deputato del Pdl, e di Tiziano Treu, ex Ministro del Lavoro del governo Dini, che introduce l’obbligo per tutte le imprese – al di sopra di una certa soglia dimensionale e comunque tutte quelle già ammesse alla disciplina vigente della mobilità – di adottare un piano di ricollocazione nei casi di riduzione del personale e nelle ipotesi di licenziamento individuale per motivi economici. Un modo per rafforzare la diretta responsabilizzazione delle imprese nei percorsi di accompagnamento, riqualificazione e reimpiego dei lavoratori licenziati, su ispirazione delle esperienze sperimentate in molti Paesi europei.

L’outplacement contribuisce a limitare il periodo di inattività e il rischio di marginalizzazione dei lavoratori – pericoli che accrescono quanto più è prolungata la lontananza dai processi produttivi – fornendo l’occasione per trasformare la sospensione lavorativa in un periodo di crescita personale e di rivedere il percorso professionale alla luce delle richieste del mercato del lavoro. L’assistenza alla ricollocazione professionale contribuisce, così, a mitigare alcune delle principali criticità del sistema italiano di welfare: il pesante mismatch tra domanda e offerta di lavoro, la mancanza di un adeguato sistema di rilevazione dei fabbisogni professionali unito a un valido sistema di formazione professionale, che sostenga l’occupabilità dei lavoratori nel creare profili richiesti dalle aziende.

L’outplacement offre vantaggi anche economici ai soggetti coinvolti e alla collettività – riducendo i tempi di appoggio alle casse dello Stato da parte di lavoratori – e contribuisce a rendere il processo di ristrutturazione aziendale meno conflittuale e più rapido. Favorisce, poi, la creazione di un’immagine di responsabilità sociale dell’azienda, grazie ad una politica più attenta alla gestione delle risorse umane, e mette l’azienda nelle condizioni di programmare la riorganizzazione, limitando controversie e ripercussioni.

L’outplacement permette di investire in processi di mobilità e transizione lavorativa, che possono esprimere il massimo della propria efficacia se si interviene, congiuntamente, sulla formazione e l’attivazione dei singoli lavoratori, al fine di rilanciare la crescita dei sistemi territoriali e di creare occasioni imprenditoriali e nuovi e migliori posti di lavoro.

Perché la tutela più efficace contro la disoccupazione non è e non può essere rappresentata da una garanzia normativa, ma solo da qualificate, coerenti e mirate politiche attive in grado di riaccompagnare il lavoratore al mercato del lavoro, attraverso il concorso delle specifiche competenze che ciascun attore – aziende, sindacati, agenzie, servizi per il lavoro e enti bilaterali – per il proprio ambito di attività, è in grado di apportare.

 

(Tonia Garofano)

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