In questo periodo di crisi si è quasi tutti attratti dall’attualità economica, e in particolare dai meccanismi che regolano i rapporti economici. Per questo si è giocata la carta del governo tecnico, esperto di meccanismi, per recuperare uno spazio di azione a livello europeo e nel contempo razionalizzare la gestione delle risorse interne al Paese manovrando – chiudendo e aprendo – indirettamente, sui due bacini di risorse fondamentali: il risparmio e il lavoro. Nell’attualità i temi ricorrenti sono: debito, finanza, spread e costo del lavoro. L’impegno di fondo è quello di gestire la crisi e di tracciare un nuovo percorso di sviluppo economico. Ma un percorso di sviluppo che sia tale e che non si confonda con un ciclo economico di segno diverso richiede, da un lato, di giudicare cosa ha condotto alla rottura dei meccanismi di regolazione dell’economia e, dall’altro, di allargare l’orizzonte della ragione economica.
Un’ipotesi di lavoro potrebbe essere quella di cominciare a prendere in maggior considerazione il problema che lo sviluppo è direttamente collegato al grado di occupabilità delle persone che un sistema riesce a gestire, e che questo è correlato al livello di investimenti in Human Capabilities che le istituzioni pubbliche e private possono sostenere. Nel suo ultimo intervento intitolato “La Terza Rivoluzione Industriale”, il noto economista americano Jeremy Rifkin porta l’attenzione sull’esigenza di modificare il nostro atteggiamento verso l’uso delle risorse naturali, sulla necessità di ripensare la scuola e il lavoro.
Traccia un percorso di cambiamento imperniato sulla logica di azione cooperativa, recuperata dall’osservazione che l’istinto sussidiario pervade la storia della società civile dove viene coltivata la fiducia e la competenza naturale, senza le quali mercati e governi avrebbero un costo di costruzione e mantenimento umanamente impossibili. Nell’analisi della crisi economica, Rifkin porta in evidenza, attraverso una documentazione ampia, il rischio di “estinzione dell’esperienza” cioè di quel legame naturale che lega tra loro le persone e il creato in una prospettiva, per lui, ecologica. Questo rischio è forse lo stesso che oggi troviamo, secondo la logica del contingente, nei comportamenti di molti di noi, con la complicità della comunicazione economica, di considerare lo spread come l’indicatore che ci dice tutte le mattine come stiamo. Ma ci sono anche persone che ricominciano ogni giorno da un bisogno concreto, senza eludere fatica e paura; c’è gente che disegna tratti di un quotidiano portando alla nostra attenzione il desiderio di un’operatività, sfidando i cambiamenti che stanno trasformando l’attività lavorativa di ciascuno.
Su questa linea, in un recente incontro con imprenditori, una giovane imprenditrice nel presentare la sua azienda ha usato queste espressioni: “La mia è un’azienda di medie dimensioni, dove uno può ancora immaginare la stabilità di un lavoro che unisce la vita lavorativa con quella del territorio e con i ritmi della famiglia. Noi abbiamo personale prevalentemente femminile e sosteniamo una cooperativa sociale esternalizzando una parte della produzione. Abbiamo sentito la crisi, ma abbiamo deciso di stare all’essenziale, rinunciando a spese e dividendi non congrui”. Un altro imprenditore presente si è inserito dicendo: “Da noi si cambia spesso posizione di lavoro, e molti dei nostri giovani poi trovano percorsi di sviluppo interessanti. Noi investiamo un budget significativo nella formazione e stiamo attivando nuove forme di welfare aziendale; la crisi è assorbita grazie a un asset umano che ci dà la forza di innovare”.
Cosa unisce la prospettiva della Terza Rivoluzione Industriale di Rifkin, i fatti della vita quotidiana e la narrazione di due imprenditori parte di una indagine più ampia su “Human Capabilities e sviluppo aziendale”? La possibilità di recuperare la prospettiva di un discorso economico partendo da un movente dell’azione economica che è non economico e che è dentro il significato vero del termine lavoro: il lavoro è per la ricerca di una soddisfazione delle persona e la persona vive bene in una trama di rapporti positivi a cui l’ha introdotto la sua famiglia e a cui è sollecitata da una comunità di appartenenza. La famiglia – che, per inciso, sostiene il primo investimento in quella dotazione di umano su cui la scuola e le imprese costruiscono poi le abilità e le competenze necessarie a una occupabilità – è in sostanza il luogo in cui si è introdotti alla capacità di azione e di rischio, che fa stare nelle cose concrete facendo delle scelte secondo un’ipotesi di vita da verificare.
Il termine Capabilities recupera in un certo qual modo la problematica del lavoro, del suo contesto, dei suoi legami e della libertà di scelta degli attori, e dà alla flessibilità il carattere di un potenziale e non di una dismissione. La prospettiva delle Human Capabilities è interessante, quindi, anche quale orizzonte per i percorsi che conducono allo sviluppo: in particolare per lo sviluppo e la gestione del lavoro in azienda. Rafforzare le Human Capabilities in azienda significa da una parte creare le condizioni affinché le persone possano svolgere al meglio il proprio lavoro all’interno dell’organizzazione, dall’altra offrire ai propri collaboratori l’opportunità di essere parte attiva nella costruzione dei percorsi lavorativi.
In particolare, si tratta di allargare lo “spazio d’azione” degli individui, con riferimento alla sfera lavorativa/professionale (possibilità di crescita professionale, opportunità di apprendimento, possibilità di realizzarsi, possibilità di partecipare al processo decisionale, ecc.) quanto a quella privata e familiare (avere una certa sicurezza economica e occupazionale, godere di buona salute, poter bilanciare gli impegni lavorativi con quelli della vita privata, ecc.).
Sviluppare e rafforzare le Human Capabilities sul posto di lavoro rappresenta una strategia win-win per le imprese, i lavoratori e la società in generale. Dal lato delle imprese, rafforzare le Capabilities dei dipendenti permette di incrementare il valore del capitale umano in azienda, di aumentare le performance organizzative ed economiche e di promuovere la competitività a livello nazionale e internazionale. Dal lato dei lavoratori, significa un allargamento delle opzioni reali, che si traduce in una possibilità di gestire percorsi lavorativi diversificati con un più alto grado di occupabilità nel tempo. In altri termini, i cambiamenti nel mercato del lavoro – che dovranno prevedere una maggiore possibilità di entrata e uscita – avranno un impatto morbido se le persone disporranno di un grado più alto di “impiegabilità”.
In sintesi cosa dice il tema delle Capabilities in merito alla crisi attuale? Dice che bisogna ampliare l’orizzonte del solito ragionamento economico imprigionato dal rapporto “mezzo-competenza-fine”, dando più attenzione a quel potenziale umano che è all’origine dell’azione economica e che la rende capace di novità in termini di prodotti, progetti servizi; dice che, osservando quelle realtà che reagiscono positivamente alla crisi, dietro un’iniziativa positiva e duratura c’è una sintonia di abilità, competenze e – ancor prima – un’umanità all’opera.