Con le nuove norme introdotte nella manovra Monti dal ministro del Welfare Elsa Fornero, per alcuni lavoratori in procinto di andare in pensione, cui mancano, magari, una manciata di anni, le sorprese rischiano di rivelarsi decisamente più sgradevoli che per altri. In particolare, per chi pensava di andarci con il sistema delle quote. L’attuale quota (valida sino al 31 dicembre 2012) era stata fissata a 96, e prevedeva l’uscita dal lavoro raggiunti almeno 36 anni di contributi versati e un’età anagrafica di 60 anni. Secondo le nuove regole, invece, occorrono almeno 42 anni di contributi (anzianità contributiva) o 66 di età anagrafica (vecchiaia).
Va da sé che, in entrambi i casi, i lavoratori che attendevano il raggiungimento della quota rischiano di vedersi slittare in avanti nel tempo il termine della propria attività di 5-6 o addirittura 7 anni. Ieri, la commissione Lavoro della Camera si è riunita, e si è pronunciata con un parere rinforzato chiedendo che tali norme vengano riviste. Il vicepresidente della commissione, Guliano Cazzola, raggiunto da ilSussidiario.net, ci ha spiegato che «in termini non ancora dettagliati, si è ragionato sull’ipotesi di rendere graduale l’allungamento dell’età lavorativa e lo spostamento in avanti nel tempo dell’entrata in pensione, al fine di impedire il sovraccarico eccessivo che si determinerebbe con le attuali norme contenute nel decreto». Secondo Cazzola, sarà necessario «introdurre criteri di gradualità sia nel superamento delle quote che nell’introduzione della penalizzazione economica». Al momento, tuttavia, «si tratta di un messaggio politico, non è stata ancora formulata una proposta dettagliata».
L’onorevole, in ogni caso, un’idea se l’è fatta. E ce la illustra: «La gradualità potrebbe essere applicata aspettando il 2018 e rendere solo allora definitivamente effettivi i criteri che si è scelto di adottare. Iniziando ad aumentare l’età anagrafica dal 2013 e fissando la penalizzazione per chi va in pensione prima a un iniziale 1% per poi aumentarla gradualmente sino al 2%». In ogni caso, «a mio avviso sarebbe stato meglio tenerci le quote e trasportare al loro interno il criterio dei 40 anni di età contributiva».
C’è, poi, il problema dei lavoratori in mobilità. Con quali criteri andranno in pensione? Con quelli attuali, o con i nuovi? Già di per sé, il decreto stabilisce che quelli che si trovano in tale condizione, sulla base di accordi collettivi precedenti il 31 ottobre 2011, siano esclusi dalla nuove regole, nella misura di 50mila unità. E che, quindi, mantengano i criteri relativi a quote e anzianità vigenti.
Per Cazzola, tuttavia, sono opportune delle modifiche: «Abbiamo chiesto che ci sia un monitoraggio per verificare se sia necessario aumentare il numero di persone escluse dalla norme del decreto. E che tale esclusione interessi i lavoratori in mobilità secondo accordi precedenti al 31 gennaio 2011».