Con le modifiche al sistema previdenziale introdotte dal ministro del Welfare Elsa Fornero nella manovra Monti, alcuni lavoratori temono per le proprie sorti molti più di altri. Quelli, in particolare, che a causa dell’innalzamento a 42 anni dei contributi necessari per andare in pensione con il sistema dell’anzianità, e con 66 di età con il sistema della vecchiaia, rischiano di vedersi allontanare l’uscita dalla propria attività di parecchi anni. Troppi, in certi casi. «Sarebbe, in effetti, opportuno individuare un sistema che mantenga il principio dell’equità tra le varie categorie», spiega, interpellata da ilSussidiario.net, Paola Olivelli, professoressa di Diritto del Lavoro presso l’università di Macerata. «Che il pro-rata contributivo vada in questa direzione – afferma -, è assodato praticamente all’unanimità».



Resta il problema della pensione di anzianità, la cui abolizione, in molti casi, desta ancor numerose perplessità.  «In molti, infatti – continua -, hanno iniziato a lavorare molto presto. E, pur non avendo svolto lavori che, ufficialmente, non rientrano nelle categorie usuranti, per decenni hanno praticato attività estremamente faticose. E, uno scalone di 5-6 o, addirittura, 7 anni, si potrebbe rivelare, per questi, inaccettabile».



Che fare, dunque? «Si potrebbe ipotizzare, in tal senso, una graduale eliminazione delle pensioni di anzianità. Prevedendone, ad esempio, la completa scomparsa solamente una volta esauriti la maggior parte di coloro che hanno iniziato a lavorare in giovane età. Va da sé che, tale categoria, una volta venuta meno, non potrebbe nuovamente generarsi. Oggi, infatti, rispetto ad alcuni decenni fa, gli obblighi scolastici sono spostati in avanti nel tempo, e praticamente nessuno inizia a lavorare prima di una certa età». Resta da capire se un simile procedimento possa essere, da parte dello Stato, sostenibile. «Ovvero – continua -, se per andare a regime e attendere la scomparsa di questa tipologia lavorativa, non sia necessario attendere un numero di anni tale per cui si vanificherebbe, dal punto di vista del gettito previsto, l’intera riforma».



Sta di fatto che, secondo la Olivelli, le pensioni di anzianità vanno eliminate. Su questo non ci piove. «Siamo gli unici, in Europa, ad averle ancora. Erano state istituite con la riforma delle pensioni, la legge 153 del 30 aprile del ’69, per favorire chi aveva iniziato a lavorare molto presto. Contemporaneamente, fu istituita la perequazione automatica, il sistema retributivo e il sistema a ripartizione. Allora, si era in pieno boom economico e demografico, si pensava che tutto sarebbe andato avanti così». Erano, ovviamente, altri tempi.