Anche i più recenti dati Istat confermano le difficoltà della condizione giovanile, con quote allarmanti di giovani che non risultano essere né a scuola, né al lavoro, nonché con fasce consistenti impegnate in forme di lavoro caratterizzate da discontinuità e intermittenza, senza un’adeguata protezione sociale.
Questo quadro configura un’emergenza che proietta i suoi effetti negativi sui prossimi decenni. Non deve stupire quindi la proposta avanzata da Mario Mezzanzanica per un patto sociale tra istituzioni, impresa e lavoro volto ad affrontare, anche con misure eccezionali e straordinarie, la sfida rappresentata dall’accompagnamento al lavoro dei giovani.
Vi è la necessità, infatti, di ricostruire percorsi standard di inserimento dotati di grande consenso sociale; percorsi che richiedono a tutti i soggetti coinvolti (giovani compresi) una dose suppletiva di responsabilità e impegno. È la ricerca di nuovi punti di equilibrio tra gli interessi in gioco, in cui il sacrificio immediato di qualche vantaggio è compensato dalla possibilità di guardare con maggiore fiducia al futuro.
L’intesa potrebbe materializzarsi in un classico accordo nazionale di concertazione tra Governo e parti sociali, con l’impegno del Governo a tradurre in provvedimenti legislativi, anche a durata determinata, quanto concordato.
1 – Un primo fronte di attacco potrebbe essere costituito dagli interventi per innalzare la preparazione tecnica e professionale dei giovani, in specie di quelli più a rischio, utilizzando l’apprendistato (istituto finora non adeguatamente valorizzato):
Penso a una massiccia azione volta ad assicurare il “diritto-dovere di istruzione e formazione” con l’obiettivo dichiarato di far raggiungere entro un triennio a tutti i giovani fino ai 18 anni almeno una qualifica professionale (nessun giovane senza qualifica);
Penso, seguendo l’esempio francese, anche a specifici percorsi in alternanza per il raggiungimento del diploma di scuola del secondo ciclo (media superiore);
Penso alla diffusione di opportunità di alta formazione organizzate in stretta collaborazione tra Università e imprese (appositi Master o percorsi di laurea).
In altri termini, andrebbe costruita e resa disponibile una variegata offerta di formazione connessa direttamente a un contratto di lavoro, al fine di saldare la crescita di competenze professionali con un rapporto di lavoro dotato delle protezioni sociali tipiche del lavoro subordinato. Non v’è dubbio che questa mossa andrebbe sostenuta con finanziamenti alle attività formative e con più consistenti agevolazioni ai datori di lavoro (ad esempio, mediante la totale defiscalizzazione dei contributi sociali).
Nel valutare la capacità della manovra sopra illustrata di contemperare i diversi interessi in gioco, occorre tenere presente che vi potrebbe essere un elemento di particolare appetibilità per le imprese qualora vi fosse un solido ancoraggio ai fabbisogni di competenze espresso dal mondo produttivo. L’impegno dovrebbe essere volto a formare figure professionali di difficile reperimento sul mercato del lavoro (e ve ne sono) e non le figure tradizionali che il sistema scolastico o di formazione professionale è abituato a preparare. In altri termini, dovrebbe essere un sistema più attento alla domanda di lavoro e meno permeabile alle esigenze dell’offerta formativa.
2 – Sul fronte più direttamente connesso alla crescita dell’occupazione giovanile, credo che l’azione possa essere articolata lungo i seguenti due filoni:
Il primo diretto a incentivare l’occupazione giovanile mediante l’offerta ai datori di lavoro di condizioni di particolare vantaggio (incentivi economici e normativi) in caso di assunzioni di giovani e in particolare di giovani disoccupati di lunga durata. A questo fine, mediante le opportune modifiche di legge, si potrebbe valorizzare il contratto di inserimento, in modo da incentivare l’assunzione di giovani disoccupati da almeno sei mesi anche mediante la concessione di più consistenti sgravi contributivi nella misura massima consentita dall’Unione europea;
Il secondo filone è volto a restringere il ricorso da parte delle imprese di forme alternative di impiego di giovani (mi riferisco in particolare all’utilizzo “non genuino” dei contratti di collaborazione coordinata e continuativa, anche in forma di lavoro a progetto, ai tirocini formativi e di orientamento non promossi da istituzioni formative, e alle cosiddette partite Iva). Questi istituti che, nella fase di crescita dell’occupazione (1996-2006), hanno comunque implementato percorsi di graduale avvicinamento al lavoro stabile, nell’attuale contesto di crisi possono trasformarsi in pericolose occasioni di selvaggia destrutturazione del mercato del lavoro giovanile, creando sacche di lavoro a protezione sociale debole o nulla. Andrebbero dunque attivate iniziative per filtrare l’accesso a tali forme di lavoro, al fine di garantirne un uso genuino.
3 – Al fine di scoraggiare la condizione giovanile più a rischio (quella di chi non è a scuola, né al lavoro), potrebbero essere attivate occasioni straordinarie di impiego (sul modello del Servizio sociale) per lo svolgimento di servizi sociali presso la Pubblica amministrazione o nel Terzo settore. Più che al salario (che potrebbe essere ridotto), bisognerebbe essere attenti ad assicurare la copertura previdenziale e a offrire l’opportunità di esperienze lavorative utili alla società (invece di restare inattivi).