Quando il dito indica la luna, dice il proverbio, lo sciocco guarda il dito. Proviamo allora a dichiararci per una volta serenamente sciocchi, per parlare di quote rosa: quelle che, grazie all’ormai prossima discussione legislativa, dovrebbero essere introdotte nei consigli d’amministrazione delle società quotate del nostro Paese.



Un obiettivo “lunare”, in un certo senso: ambizioso, apparentemente irraggiungibile, perseguito da soggetti animati dal più nobile degli intenti – allargare concretamente la partecipazione pubblica alla componente femminile, assicurare alle donne opportunità realmente pari, offrire un contributo decisivo a sfondare (per riprendere la metafora celeste) il soffitto di cristallo che ancora oggi impedisce alle tante e brave lavoratrici di raggiungere posizioni di significativa responsabilità.



Ma mentre nel nostro Parlamento si vota per permettere a qualche donna in più di varcare la soglia delle stanze dei bottoni, oltralpe si discute di misure dirette a migliorare la vita, anche lavorativa, delle donne, di tutte le donne: e non solo delle donne, ma di entrambi i componenti attivi della famiglia.

Nei giorni scorsi, in Germania, il governo ha firmato insieme ai rappresentanti dell’imprenditoria e dei sindacati un fondamentale accordo per rivedere entro il 2013 i principi su cui è basato l’orario lavorativo. Partito dalla medesima constatazione dell’assoluta scarsità di donne nei ruoli di potere, il dibattito pubblico tedesco è sfociato non in un intervento forzato sul numero di rappresentanti femminili, bensì nella redazione e nella sigla congiunta della “Charta der familienfreundlichen Arbeitszeiten” – così suona in lingua originale il titolo dell’intesa. Un documento che prende di mira quella che la giovane e incinta ministro della Famiglia, Christiane Schroeder, ha definito “la cultura tradizionale della priorità della presenza alla scrivania in ufficio, obsoleta e dannosa”, e si propone di scardinarla come necessaria premessa per allargare gli spazi di partecipazione femminile al mondo del lavoro.



Si tratta di una novità fondamentale: di fronte al tradizionale conflitto tra famiglia e lavoro, la Germania ha scelto, una volta tanto, di non risolverlo intervenendo sempre e soltanto sul primo fronte (come si continua a proporre dalle nostre parti caldeggiando soluzioni, come l’aumento di asili nido o l’estensione dell’apertura scolastica, che si fondano di fatto sulla delega educativa e affettiva), ma di mettere in discussione il secondo.

Invece di sminuire il tempo da dedicare alla cura di se stessi e dei propri cari, per aumentare quello da investire nella professione, stavolta si rivaluta il primo, per offrire alle persone e alle famiglie la possibilità di occuparsi dei propri bisogni, dei figli e della loro educazione. Invece di premere ancor di più sui già ristretti spazi familiari, incoraggiando le donne a dedicarsi totalmente all’attività professionale, per la prima volta si ha il coraggio esplicito di contestare la rigidità dell’organizzazione e lo sconfinamento degli spazi lavorativi, a beneficio di tutti i lavoratori. E in questo senso va letto l’appello di frau Merkel agli imprenditori affinché siano “creativi”.

 

Non è un caso che tutto questo accada nel Paese europeo che più di ogni altro ha conosciuto e studiato (a differenza di quanto accade dalle nostre parti, che offrono del problema una rappresentazione quanto meno parziale) gli effetti dell’affidamento precoce, prolungato e massivo dei lattanti ai nidi; e nel quale un istituto scientifico come la Deutsche Psychoanalytische Vereinigung (che riunisce gli psicanalisti tedeschi) si è espresso più volte negli ultimi anni contro il riscorso indiscriminato ai cosiddetti servizi di assistenza all’infanzia.

 

Non è un caso forse neppure che avvenga in un paese in cui un governo moderato è guidato da una donna, una madre come Angela Merkel, consapevole dei bisogni delle donne e delle madri comuni. Quelle che non aspirano necessariamente alla luna dei consigli di amministrazione, ma che si volentieri guarderebbero a un dito che indicasse loro un modo più semplice, più umano di vivere come desiderano: soddisfatte del loro lavoro, ma circondate allo stesso tempo dei loro affetti.