“Lei possiede beni di famiglia? Se no, non è opportuno che studi le lingue orientali” con queste parole come studentessa di cinese sono stata accolta, decenni orsono, dal mio professore, il quale intendeva dire che una scelta di studi così peculiare si confaceva maggiormente a coloro che, avendone i mezzi, potevano applicare le loro conoscenze linguistiche in campi non facilmente remunerativi: filosofia, filologia, archeologia e così via ricercando.
Per fortuna di tutti, i tempi sono cambiati, le parti si sono invertite e ora lo studio del cinese si applica, quasi esclusivamente, ad attività che possono comportare un reddito immediato, prime fra tutte gli scambi commerciali. È con gioia quindi che periodicamente aggiorno la lista di ex-studenti che, avventuratisi in Cina dopo gli studi, non solo vi hanno trovato una collocazione lavorativa, ma hanno anche avuto modo di impiegare il loro ingegno e inventiva nella creazione di propri ambiti.
Francesca D’Andrea, finiti gli studi cinesi a Milano, dopo qualche anno presso una ditta import-export italiana a Shanghai, ha messo a frutto il suo capitale cognitivo e pecuniario per aprire a Kunmin, città capoluogo di regione dello Yunnan, sotto le nuvole del Tibet, una gelateria che funge altresì da caffè-letterario con annesso ristorante nel quale impiega volentieri anche personale italiano, a suo dire, non facilmente reperibile.
Roberto Longo, partito da Milano con scarse risorse, poco cinese e tante speranze, dopo anni di gavetta ha aperto a Shanghai una ditta di logistica che serve anche altri paesi asiatici. Alessandro Detoni, geniale e precoce praticante della lingua cinese sin dai tempi del liceo, dopo studi di psicologia alla Cattolica e di cinese all’Isiao, ha lasciato le occupazioni milanesi per dedicarsi alla sua vera passione: la produzione di cortometraggi di viaggio e di indagine sociale sulla Cina; attualmente è un consolidato freelance presso alcune emittenti televisive straniere e locali a Beijing, casa e fidanzata cinesi comprese.
Stefano Notarbartolo, attraente bagnino di Rimini, trapiantato a Milano solo ed esclusivamente per seguire la passione del cinese, che ha studiato per tre anni, inizialmente disperso in qualche università dell’immenso paese, è ricomparso con un passato come funzionario di una ditta indonesiana, e un presente come dirigente della sua azienda nel sud della Cina, moglie e tre figlie al suo fianco.
Ma c’è anche chi fa di più: Fabrizio Leuci, laureato all’Università di Napoli L’Orientale, negli anni ’90 apre in Cina una ditta di import-export nel ramo kashmir e seta, dopo qualche tempo si dedica a produrre abiti per rinomate case di moda italiane; non contento, inizia un’attività di ristrutturazione delle vecchie ville primo Novecento di Shanghai, dove il patrimonio architettonico d’antan si quota a livelli stratosferici sul mercato immobiliare locale.
E ancora Angelo Morano, laureato all’Orientale di Napoli, rappresentante in Cina di una ditta import-export nel ’90, attuale proprietario di due ristoranti italiani a Shanghai, frequentatissimi dai turisti nostrani in cerca di calore familiare, si destreggia anche nell’ambito della distribuzione cinematografica cinese in Italia, trattando con le maggiore organizzazioni del settore. Massimiliano Zeni, una laurea a Trento e due anni di cinese, sbarcato in Cina per insegnare italiano in un liceo di una città del sud, è al momento impegnato ad aprire la filiale di Shanghai di una solida azienda con sede a Hong Kong.
Quanti altri ancora? E in quali altre attività impegnati? Funzionari di banche nazionali; dipendenti e dirigenti di aziende italiane, straniere e persino cinesi disseminate nell’immensità del territorio del Catai; insegnanti di italiano in università e scuole pubbliche e private; mercanti d’arte e artisti d’avanguardia nelle gallerie e spazi espositivi alla moda. Giovani partiti dal nostro paese con conoscenze linguistiche e culturali specifiche, o anche solo con una formazione professionale, come il cameriere proveniente da una scuola alberghiera di Venezia che mi è capitato di incontrare in una rinomata catena italiana di caffè a Shanghai.