I dati provvisori Istat diffusi martedì scorso ci consegnano un 2010 che si è chiuso con un tasso di disoccupazione all’8,6%, che raggiunge la cifra record del 29% tra i giovani. La sfida per il nuovo anno, che si annuncia all’insegna della ripresa economica, pare dunque quella di tornare a creare occupazione, soprattutto per chi si affaccia per la prima volta sul mercato del lavoro. Ne abbiamo parlato con Paolo Reboani, Presidente e amministratore delegato di Italia Lavoro, la società pubblica che si occupa della promozione e della gestione di azioni nel campo delle politiche del lavoro.



Nel 2011 si prevede una ripresa dell’economia, ma restano i timori di un’alta disoccupazione. C’è, secondo lei, il rischio di una recovery jobless, cioè di una ripresa senza un aumento dell’occupazione?

Le previsioni ci fanno certamente vedere un’economia che si sta pian piano riprendendo, mentre per quanto riguarda il mercato del lavoro ci dicono che il tasso di disoccupazione si manterrà su livelli significativi, anche se gli ultimi dati fanno vedere una sua stabilizzazione. La ripresa, più che jobless, si sta configurando come selettiva, nel senso che ci sono imprese che hanno maggiori prospettive, soprattutto sul mercato internazionale, e che hanno già innalzato i loro ritmi di produzione, mentre ve ne sono altre che, puntando sul mercato nazionale, fanno più fatica a causa della stagnazione della domanda interna.



Che cosa si può fare per cercare di migliorare la situazione?

Dal punto di vista del mercato del lavoro, che dipenderà ovviamente anche dal sentiero di crescita economica, bisogna fare due cose: continuare a proteggere il reddito dei lavoratori che sono sottoposti a processi di riorganizzazione e ristrutturazione, attraverso gli investimenti in cassa integrazione e negli ammortizzatori sociali, e rendere più efficaci le politiche di ricollocazione, perché c’è la concreta possibilità di ricollocare sul mercato i lavoratori. Abbiamo poi la necessità di intervenire sui giovani, attraverso percorsi di orientamento e di immissione nel mercato del lavoro che siano più immediati



A proposito di giovani, gli ultimi dati confermano un alto tasso di disoccupazione, nonostante le politiche messe in campo negli anni. Secondo lei perché?

Per due ragioni. Innanzitutto per via della crisi, che ha inciso certamente di più sull’occupazione giovanile in tutti i paesi industrializzati, non solo in Italia. Inoltre, tutti i sistemi economici dei paesi industrializzati stanno scontando un disallineamento tra le nuove competenze che il mercato del lavoro richiede ai giovani e i processi educativi, in particolare in Italia.

 

Rispetto ai diversi fattori indicati nelle analisi sulle cause della disoccupazione giovanile, ritiene che questo sia quello decisivo?

 

Dire che questo è il fattore decisivo mi sembra eccessivo. Si tratta di un elemento importante e abbastanza significativo. Direi che in generale, come si dice nelle analisi, il problema dipende da un concorso di cause.

 

Come Italia Lavoro cosa state facendo e farete in materia di occupazione giovanile? Quale l’impegno rispetto al Piano Giovani Italia 2020?

 

Il compito di Italia Lavoro è di attuare le politiche che il governo decide a livello nazionale e di cercare di articolarle a livello regionale. In questo campo ci stiamo muovendo su tre versanti: il miglioramento delle conoscenze sul mercato del lavoro (come, ad esempio, qualifiche e competenze richieste), insieme con Unioncamere, attraverso il potenziamento delle indagini conoscitive, tra cui Excelsior; un grosso programma operativo dedicato alle transizioni tra scuola e lavoro, per garantire un ingresso più immediato nel mercato; la promozione dell’apprendistato, soprattutto per i giovani tra i 15 e i 17 anni, per favorire un ingresso operativo nel mercato del lavoro. Dobbiamo fare anche in modo che questa linea nazionale sia poi calata e articolata territorialmente. Ci sono già regioni impegnate su questi versanti, l’importante è che tra le diverse realtà territoriali ci sia un minimo comune denominatore.

 

Quanto occorrerà per vedere e valutare i risultati delle azioni che stanno mettendo in campo?

 

Per alcune operazioni (come l’e-placement o la transizione scuola-università/lavoro) possiamo avere dati quasi immediati. Per avere una statistica più completa e complessiva, credo che ci vorrà un po’ più di tempo.

 

Che ruolo possono avere gli operatori dei servizi per il lavoro per supportare l’ingresso dei giovani nel mercato?

La moltiplicazione degli attori – quindi il fatto che il privato si affianchi al pubblico – non può fare altro che aumentare le possibilità di ingresso nel mercato del lavoro. Infatti, più operatori ci sono, maggiore è l’efficienza del mercato nel trovare risultati più immediati. Pubblico e privato devono assolutamente convivere.

 

C’è, secondo lei, la necessità di un “patto” tra istituzioni competenti in materia di politiche per il lavoro, imprese, sindacati e operatori dei servizi per il lavoro per aiutare l’ingresso nel mercato del lavoro?

 

Intese sono già state fatte, anche recentemente nel 2009 e nel 2010, e c’è la piena consapevolezza che cooperando tutti insieme, mettendo ognuno gli strumenti di cui è capace, è più facile attutire l’impatto della crisi sul mercato del lavoro.

 

Recentemente lei è stato eletto vicepresidente del comitato occupazione Ue. Sul tema lavoro c’è qualcosa che l’Italia dovrebbe imparare dalle altre esperienze europee?

 

Ci sono tante cose che possiamo imparare, in particolare nella messa in comunicazione tra pubblico e privato. In ogni caso, le nostre esperienze di cassa integrazione e di azione di ricollocamento sono guardate con molto interesse all’estero: non c’è dubbio che abbiano mostrato di funzionare meglio dei tradizionali sostegni alla disoccupazione.

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