Sicuramente l’attuale congiuntura economica italiana è caratterizzata da bassi consumi, circostanza che interferisce negativamente con le attività produttive, per cui le imprese stentano a restare in piedi, quando (e in questo si assiste, purtroppo, a una continua crescita) addirittura non muoiono. Il saldo tra imprese che entrano nel mercato e imprese che muoiono, infatti, è negativo.
A questo saldo occorre aggiungere tutte le diminuzioni di ore lavorate dovute alla cassa integrazione e anche tutti quegli incrementi della disoccupazione che devono essere ricondotti alla diminuita richiesta di prodotti o di servizi alle imprese. Quest’ultime, di conseguenza, sono costrette a ridurre proporzionalmente le loro attività pur continuando a restare nel mercato in attesa del superamento della crisi e, quindi, attendendo una ripresa che possa adeguatamente ripagarle anche dell’attuale diminuzione di ricavi.
A fronte e accanto alla bassa crescita e a una continua diminuzione della domanda di prodotti e di servizi dobbiamo collocare, sempre per il loro aspetto negativo, un sostenuto incrementarsi sia del debito pubblico, sia dell’inflazione (quest’ultimo in gran parte dovuto all’aumento del prezzo del petrolio, a causa delle attuali vicende politiche di alcuni paesi produttori).
Tutti questi incrementi negativi concorrono, direttamente o indirettamente, a non favorire, da un lato, le attività produttive delle imprese e, dall’altro, l’attesa crescita della domanda legata a una ripresa dei consumi. Le famiglie – che, con il manifestarsi e il progredire della crisi, già erano state costrette a una sostenuta diminuzione dei consumi, a partire da quelli reputati meno necessari o urgenti – oggi sono anche costrette a fare i conti con una diminuzione del loro reddito disponibile dovuta alla presenza nel loro seno di sempre più disoccupati. Fatto quest’ultimo che aumenta la sfiducia in una ripresa economica vicina e rende le famiglie coinvolte molto più attente verso le possibili necessità future e, quindi, ulteriormente e forzosamente più “parsimoniose”.
Mi pare di poter affermare che siamo dinanzi a un circolo vizioso da cui occorrerebbe uscire quanto prima. Questo circolo vizioso si potrà “rompere” solo se saranno programmati e adeguatamente attuati interventi di politica economica e fiscale a sostegno delle famiglie e delle imprese, specialmente di quelle piccole e medie che, di fatto, sono state il vero perno e sostegno della nostra economia e potrebbero tornare a esserlo. Se non si persegue questa strada, il livello della disoccupazione è destinato a salire e il circolo vizioso si riprodurrà sistematicamente.
Ovviamente, accanto e per una valida attuazione di queste politiche, sarà necessaria l’attiva e collaborativa presenza delle istituzioni creditizie che dovrebbero essere, in questa occasione, anche più attente alla possibile redditività delle imprese che non alle garanzie patrimoniali che queste possono dare. Occorrono, infatti, banche che siano più presenti nel loro territorio di riferimento e maggiormente allertate ai bisogni delle loro collettività e, quindi, meno disposte alle mere speculazioni e più attente al bene comune.
Chi pensava e predicava che la crisi iniziata nel 2008 fosse terminata, purtroppo si sbagliava e ha dimostrato di possedere poca attenzione alla realtà e al suo dipanarsi. Questa nefasta scelta di predicare che tutto si stava risolvendo o era già risolto ha creato non solo vane aspettative, ma ha, successivamente, moltiplicato gli effetti negativi della crisi stessa che oggi più che ieri mette in evidenza il suo lato più doloroso: la crescita della disoccupazione. Infatti, di fronte al manifestarsi degli incrementi della disoccupazione, che comportano anche un ulteriore abbassamento del livello dei consumi e delle attività produttive, occorreva e occorre intervenire con meno parole e più adeguate politiche di sostegno.
Alla luce di queste sintetiche considerazioni ci si attende la fine della politica delle parole e l’inizio della politica dei fatti a sostegno delle famiglie e delle imprese. Questo perché la disoccupazione non ha solo effetti negativi sotto il profilo economico, ma anche distruttivi – così come ci rammentano le encicliche sociali- della persona del lavoratore che la subisce. Quando poi si ha quasi il 30% di disoccupazione giovanile, tutto questo non solo diventa urgente, ma deve impegnare eticamente (adeguate soluzioni verso il bene comune, attraverso la solidarietà, la sussidiarietà, e il “cuore”) tutti i politici e tutti i cittadini.