Gli ultimi mesi hanno visto succedersi dati via via sempre più allarmanti sulla disoccupazione giovanile, che a febbraio ha superato il 29%. È anche per questo motivo che un’Agenzia per il lavoro, quale Gi Group (la più grande d’Italia), ha deciso di dedicare il 2011 ai giovani. Proprio con il suo amministratore delegato, Stefano Colli-Lanzi, abbiamo fatto un punto della situazione, facendoci spiegare le iniziative che si possono mettere in campo per cercare di risollevare l’occupazione giovanile in Italia.
Su queste pagine, lei ha già spiegato (come ha sottolineato in seguito anche Emma Marcegaglia) che nel mercato del lavoro c’è troppa rigidità in uscita. Oggi, però, la difficoltà sembra essere, in particolare per i giovani, quella di trovare un’occupazione stabile. Le due cose sono collegate?
La creazione di strumenti di flessibilità in entrata ha reso meno “drammatico” il problema dell’assunzione e più elastico il mercato, ed è quindi importante che ci sia questa fluidità. Il problema è che se c’è rigidità in uscita non si aprono spazi per nuove figure lavorative nella misura necessaria e questo fa sì che la flessibilità diventi una necessità reiterata in modo eccessivo, divenendo patologica e provocando di conseguenza tassi di disoccupazione importanti. Il fatto che ci sia, ad esempio, un numero enorme di apprendistati che non vengono confermati è un bruttissimo segnale: vuol dire che non si sta usando quel contratto a minor costo e la sua flessibilità per “sdrammatizzare” l’ingresso nel mercato, investire e assumere poi una persona. Questo perché in azienda spesso ci sono figure più datate, gravemente unemployable, fortemente improduttive, ma che non si possono scalzare dalle loro posizioni.
C’è qualcosa che non va allora nello strumento dell’apprendistato?
L’apprendistato è un contratto teoricamente molto valido, perché comporta una certa flessibilità in entrata, minori costi e l’incentivazione a investire sulla persona, che è l’aspetto culturalmente fondamentale, dato che c’è sempre meno propensione a investire, cioè a usare risorse oggi per avere un risultato domani. Questo perché c’è interesse crescente ad avere un risultato immediato e quindi nessuno investe più. L’apprendistato viene ridotto perciò a un contratto per avere un risparmio contributivo e retributivo e la flessibilità detta, mentre la sua parte formativa, cioè di investimento, non viene attuata. Anche perché, l’attuale ordinamento prevede che la formazione venga fatta direttamente dall’azienda (e quindi totalmente a suo carico) oppure dal pubblico (senza oneri per le imprese, ma più lontana dalle competenze richieste). Purtroppo, l’attenzione ai costi fa prediligere questa seconda strada.
Si può fare qualcosa per ridare impulso alla parte formativa?
A noi di Gi Group è sembrato che proprio la governance dello strumento mancasse di un pezzo, cioè di qualcuno che, conoscendo sia il lavoratore che l’azienda, possa farsi carico della formazione senza gravare di tale compito questi due soggetti. La persona deve lavorare e, chiaramente, anche avere a cuore la sua formazione, ma è giusto che abbia qualcuno che lo assista in questo. L’azienda, da parte sua, fa lavorare la persona e si può far carico della sua formazione on the job, ma non di tutta la governance del processo burocratico di gestione della persona, che invece può essere utilmente affidato a un intermediario, a un’agenzia.
Vi state dunque proponendo come soggetto attivo per la formazione nell’apprendistato?
Sì, ci stiamo facendo fautori di una proposta per reintrodurre la possibilità di gestire l’apprendistato attraverso la somministrazione e per far sì che laddove un’azienda decida di utilizzarlo gli obblighi relativi al percorso formativo siano a carico dell’agenzia. Servirà un cambiamento normativo e su questo stiamo ragionando con il ministero del Lavoro, che ha la delega per la riforma dell’apprendistato.
Ma perché un’agenzia per il lavoro chiede di occuparsi di questa forma contrattuale?
Innanzitutto, perché c’è un’alta disoccupazione giovanile, e un modo per affrontarla nel breve periodo è attraverso questo strumento. Inoltre, come ho spiegato prima, la parte formativa è quella essenziale per l’investimento su una persona. La nostra proposta ci sembra che possa semplificare e incentivare il processo per l’azienda, oltre a rendere possibile lo sviluppo di un processo formativo più aderente alle esigenze della persona e dell’impresa.
Gli ultimi dati Istat, intanto, confermano che ci sono dei posti di lavoro che rimangono vacanti. Da cosa dipende secondo lei?
Da una distanza siderale tra il mondo dell’istruzione e quello delle aziende. Ritengo che i percorsi formativi vadano anticipati nei tempi. Mi spiego: non si può lavorare 15 anni sulla propria formazione senza porsi mai il problema del mercato. Se si fa così, è logico che poi, quando ci si affaccia sul mercato nascano dei problemi. Direi che per come è impostato il sistema formativo sono persino ancora pochi i posti che non vengono coperti.
Che soluzioni si possono mettere in campo?
Ci possono essere nel breve termine delle azioni mirate, anche all’ultimo momento, che possono favorire il matching finale tra domanda e offerta di lavoro, come l’addestramento e l’orientamento. Qui, sicuramente, lo sviluppo degli intermediari, delle agenzie può dare e sta dando un forte contributo. Ci sono, però, delle problematiche che richiedono un orizzonte di medio-lungo termine. Per esempio, la nostra pubblica amministrazione ha speso molti soldi nella formazione, ma senza creare degli osservatori sui fabbisogni formativi. Questo impedisce di dare strumenti o indicazioni al mercato per leggere i fabbisogni e non permette di orientare in maniera efficiente le risorse formative. Se si è costretti a muoversi “a caso”, è chiaro che diventa più difficile ottenere un matching preciso.
Gi Group ha deciso di dedicare il 2011 ai giovani. Perché questa scelta?
Perché è molto grave che ci sia un tasso così alto di disoccupazione giovanile. L’Italia è un Paese sempre meno produttivo e quindi in grado di dare sempre meno a tutti. Si stanno creando i presupposti perché il futuro sia peggiore del presente. In questo senso si sta rompendo la catena di solidarietà intergenerazionale. Un tempo i padri lavoravano per creare condizioni migliori per i loro figli, oggi invece si “mangiano” il futuro dei loro figli. Per chi si occupa di lavoro, questo è grave. Dedicare un anno ai giovani vuol dire da una parte mettere in piedi delle iniziative significative, dall’altra affermare che questo tema riguarda tutti e che un’agenzia come la nostra vuole svolgere un ruolo importante, non di mero operatore tecnico, ma anche di costruttore di cultura del lavoro.
In quest’ottica, per il 31 marzo avete organizzato il Gi Day. Qual è il senso di questa iniziativa?
È la prima volta che lo facciamo, quindi possiamo definirlo come un test: se funzionerà lo ripeteremo non solo a Milano, ma anche in altre città. L’idea è quella di far incontrare neolaureati e persone che cercano lavoro con dieci aziende, che hanno una serie di posizioni potenzialmente aperte, in modo da creare le condizioni per un incontro reale tra domanda e offerta di lavoro. Nel pomeriggio, inoltre, allargando ulteriormente la platea dei partecipanti, faremo un momento di confronto sulle logiche e sulle evoluzioni del mercato del lavoro, sull’utilizzo dei social network e degli strumenti più moderni di contatto tra domanda e offerta di lavoro, sulle novità e le condizioni normative dei contratti di lavoro che normalmente riguardano i giovani. In un giorno non si risolve certo il problema della disoccupazione giovanile, ma credo che una giornata di questo tipo abbia un’utilità intrinseca e dia la possibilità di veicolare un messaggio, una provocazione a più ampio respiro.
Avete in programma altre iniziative per i giovani quest’anno?
Già l’anno scorso, a settembre, abbiamo fatto nascere la prima Filiale First a Milano, dedicata all’orientamento e al reclutamento dei giovani. La nostra intenzione è quella di aprirne altre in 4/5 diverse città. Abbiamo inoltre orientato l’attività della Gi Group Academy sul tema, dedicando diversi momenti al lavoro dei giovani. C’è appena stato il 15 marzo un incontro con il Prof. Bertagna sul rapporto tra formazione e lavoro e ci sarà un altro momento importantissimo l’11 aprile, con la partecipazione del Prof. Tiraboschi sul tema dell’apprendistato. Stiamo inoltre ipotizzando altre iniziative che partiranno nei prossimi mesi per coinvolgere, anche a livello di dialogo e attraverso i social network, i giovani su idee da mettere in campo per favorire l’occupazione giovanile.