Caro direttore,

Mi chiamo Silvia Maltoni e Le scrivo da parte dell’associazione movimento giovanile 1535.it (www.1535.it) che presiedo. Leggiamo regolarmente il vostro giornale e abbiamo notato che spesso dedicate spazio a chi desidera aprire un dialogo su temi di attualità sentiti nella nostra società.

Siamo un social network apolitico italiano che si occupa di tematiche socio-culturali per i ragazzi tra i 15 e i 35 anni e a oggi contiamo oltre 3.000 iscritti. Ci ispiriamo a realtà già esistenti in altri paesi europei (Danimarca, Olanda, Spagna, Bulgaria, Romania e Regno Unito) in cui si attuano politiche attive sui giovani. In questi paesi le associazioni giovanili collaborano con le istituzioni proponendo iniziative concrete al fine di risolvere le problematiche del territorio e favorire, allo stesso tempo, la crescita e l’inserimento nella società dei più giovani.



Il nostro obiettivo è proprio questo, poiché desideriamo avere un ruolo attivo nella società per cercare di gestire proattivamente il nostro futuro, evitando di cadere nel buco nero dei “bamboccioni”. Dalla nascita di 1535.it ci siamo occupati di diversi progetti per i giovani tra cui il convegno sulla conciliazione tra lavoro e famiglia (Giovani idee per conciliare famiglia & lavoro – 5 febbraio 2010 – Regione Lombardia) e il progetto presentato agli Stati Generali su Milano Eco social city e i bio food corner (16-17 luglio 2009 – Teatro Dal Verme, Milano).



Oggi le scrivo in relazione ai numerosi articoli che abbiamo recentemente letto sul vostro giornale a proposito del tema del precariato giovanile nel nostro Paese. Come associazione è da tempo che stiamo cercando di sensibilizzare e sottoporre all’attenzione delle istituzioni il Flexycurt, ovvero una modalità di assunzione a tempo indeterminato che favorisce la flessibilità lavorativa e non toglie alle persone la tranquillità e la serenità che deriva dall’avere un posto di lavoro, anche se “flexy”. Le elenco qui di seguito alcuni spunti innovativi del nostro progetto che potrebbe conciliare le esigenze sia dell’azienda, sia del lavoratore:



1) dare la possibilità ai giovani cittadini di decidere, come avviene per il 5 per mille, se accettare un contratto a Progetto o Flexycurt;

 

2) il lavoratore, se deciderà di attivare un contratto di Flexycurt, verrà assunto a tempo indeterminato e avrà diritto a ferie, straordinari e malattia retribuita;

 

3) il lavoratore dovrà versare una quota per un’assicurazione che, in caso di licenziamento, gli garantirà per un anno, il 90% dello stipendio;

 

4) per accedere a questo servizio, per gestire il potenziale fattore di demotivazione causato dall’alto livello del reddito sostitutivo, la persona disoccupata dovrà attivarsi personalmente nella ricerca di un posto di lavoro e dovrà obbligatoriamente partecipare a programmi di formazione a tempo pieno (come avviene in Danimarca, Svizzera, Austria);

 

5) nel caso in cui il lavoratore non utilizzi mai questo fondo, al raggiungimento della pensione, la somma accumulata verrà considerata come una pensione integrativa a quella già preventivata dalla legge italiana;

 

6) l’imprenditore avrà la possibilità di assumere personale, di formarlo e, solo in casi estremi, (diminuzione di giro d’affari, gravi inadempienze del lavoratore) potrà decidere di licenziarlo. Non sono ammessi licenziamenti per motivi soggettivi. Questo è un punto importante per l’azienda, è qui che viene evidenziata la parte “flexy” del contratto;

 

7) considerando i vantaggi positivi di un cambiamento epocale del mondo del lavoro (e dell’economia) in Italia, sia le Istituzioni, sia le imprese sarebbero ben predisposte a contribuire versando una parte della somma per l’assicurazione prevista dal contratto Flexycurt.

 

Vorrei dar voce a tanti giovani che oggi sono precari, in un mondo aziendale in cui vi sono lavoratori di serie A (quelli assunti) e lavoratori di serie B (contratti a progetto). Cosa vuol dire “essere precario” in un Paese, l’Italia , che non è al passo con i tempi flessibili del lavoro? Dalle numerose interviste e testimonianze che abbiamo raccolto in questi ultimi tre anni è emerso che “un precario lavora più di un collega assunto, perché il capo lo illude che se lavora tanto, prima o poi viene assunto”.

Il lavoro straordinario non viene mai retribuito, così come le ferie, in quanto le aziende fanno scadere i contratti a progetto a luglio/dicembre e li riprendono a settembre/gennaio. Non vengono retribuiti i giorni di malattia. Non si può accedere a mutui per comprarsi una casa o a finanziamenti per comprarsi un’auto o una moto, perché non si ha una busta paga. Non si può essere un buon inquilino, perché il proprietario di casa chiede una busta paga come garanzia, per cui ci si deve appoggiare a familiari o amici che facciano da garante. Non si ha diritto all’asilo nido, perché in quanto precario non si ha un lavoro fisso. Oggi un precario lavora più ore, guadagna meno e non ha gli stessi diritti del suo collega assunto, le sembra giusto?

 

Tra le diverse iniziative che abbiamo messo in atto per sensibilizzare l’opinione pubblica, i mass media e le Istituzioni, nel 2009 abbiamo organizzato un convengo a Milano in collaborazione con altre associazioni giovanili e a cui hanno preso parte aziende e istituzioni alle quali abbiamo proposto il nostro modello anti-precariato e alle quali abbiamo chiesto di attivare dei progetti pilota con il patrocinio della Regione Lombardia (Giovani e lavoro nell’area metropolitana, quali opportunità? – 20 marzo 2009 – Milano).

 

Noi riteniamo che sarebbe un gesto di lungimiranza e un forte segnale anti-crisi importare questo modello lavorativo in Italia, che purtroppo risulta ancora fanalino di coda in Europa per politiche attive sui giovani e per combattere il precariato giovanile. In altri paesi europei che hanno introdotto e implementato questo modello i risultati sono stati positivi. Per citare qualche esempio, Danimarca, Spagna, Svizzera e Austria, in cui non esiste il precariato ma solo dati di disoccupazione che negli anni, nonostante la crisi, sono sempre diminuiti. Se vuole posso fornirle anche questi dati, ma credo che il buon senso sia più utile di numeri con percentuali.

 

Le aziende e le istituzioni si sono dimostrate interessate a questa tematica, ma ancora oggi stanno analizzando la fattibilità di tale proposta e non è ancora stato attivato alcun progetto, nonostante i numerosi saggi, articoli che sono stati scritti sul tema del Flexycurt, da luminari universitari ed economisti di rinomata fama.

 

La ringrazio molto se vorrà dare voce alla nostra associazione, perché riteniamo che voi possiate ampliare ulteriormente il dialogo che noi stiamo cercando di alimentare tra i giovani e le Istituzioni, stando al passo con i nostri cugini europei e cercando di trovare valide e condivise soluzioni.