Tranquillizziamo subito gli amici italiani. Anzi, tranquillizziamo noi stessi, ticinesi. Non ci sarà nessuna cacciata e nessuna “scure” sui frontalieri italiani in Ticino. I frontalieri sono un pilastro insostituibile della nostra economia: 46mila preziosissimi italiani (su 180mila lavoratori in totale, con una popolazione di 320mila abitanti) varcano tutti i giorni il confine per far funzionare le nostre fabbriche, i nostri cantieri, i nostri ospedali.
Sapete chi sarebbe il primo a dover chiudere le sue imprese edilizie se non potessimo più contare sui frontalieri? Giuliano Bignasca, il leader della Lega, che in passato ha fatto i soldi costruendo strade e palazzi e ancora oggi vive di quello. Con perfetta analogia rispetto al vostro mercato del lavoro, i disoccupati locali ci sono (attorno al 5% in Ticino, con punte fino all’8% tra i giovani), ma preferiscono fare la coda davanti agli uffici di collocamento, intascando per 14 mesi delle generose indennità, in attesa che qualche banca, assicurazione o ufficio cantonale offra loro un posto dietro la scrivania, piuttosto che sporcarsi le mani in mestieri spesso faticosi ma a volte anche belli e non sempre malpagati (c’è qualche padrone furbo che, di questi tempi, paga i suoi dipendenti frontalieri in euro, al cambio di tre anni fa… ma sono casi rari).
Ma allora perché, vi chiederete, il Nano Bignasca ha fatto tutto questo chiasso in campagna elettorale minacciando una “strage” di frontalieri italiani (tra parentesi: gli squallidi manifesti con i topi che rosicchiano il formaggio svizzero non sono opera di Bignasca e della Lega, bensì di un altro partito, l’Udc, maggioritario a livello confederale ma fermo al 5,5% nel Cantone, mentre la Lega sfiora ormai il 30%)?
Bignasca ha costruito la sua fortuna politica attraverso un giornale domenicale che utilizza un registro satirico-gogliardico, a volte piuttosto greve, che tutti i ticinesi (salvo qualche parruccone un po’ farisaico legato alla vecchia partitocrazia “affaristica”) dopo vent’anni di Lega sanno interpretare. Perciò sanno fare il décalage tra le sue sparate guascone e la politica che i suoi uomini fanno nelle istituzioni, sostanzialmente ragionevole.
Resta da spiegare perché i ticinesi votino Lega, potendo intuire che c’è una buona dose di demagogia nel suo linguaggio politico. In due parole. La diseducazione (meglio: ineducazione) generale impera anche qui, come dappertutto in Europa. È proprio per questo che la grandissima maggioranza della gente, al di fuori di una piccola cerchia di addetti e di intellettuali, si disinteressa totalmente dei discorsi politici e, prima ancora, si è totalmente disaffezionata alla politica e al bene comune.
Forse per questo, Bignasca ha escogitato – anche per temperamento – l’espediente di urlare e usare un linguaggio colorito e pittoresco per riuscire a perforare un po’ l’indifferenza generale. Con il risultato, a volte, di ingigantire problemi (sicurezza, immigrazione) che, visti dall’Italia o dal resto dell’Europa, nella realtà del nostro pacifico benessere possono apparire (e sono) “fastidi grassi”.
Comunque questo chiasso, associato a un gran fiuto tattico per la politica e a qualche sprazzo di autentico liberalismo (come, ad esempio, per la parità di trattamento tra pubblico e privato nella scuola), è quanto è bastato per sfondare diventando, in due decenni, la prima forza politica del Canton Ticino.