Per difendere la competitività del sistema paese in tempi tanto difficili si invocano le ricette più svariate: innovazione, design, elasticità, cultura. Ma una ricetta da tutti condivisa, perché trasversale a tutti i settori, è puntare sulla preparazione tecnica e culturale delle giovani generazioni.

Il Rapporto sussidiarietà 2010 è voluto entrare nel cuore del sistema dell’istruzione professionale, andando a indagare la direzione in cui si sta muovendo, quali sono i suoi punti di eccellenza e, soprattutto, quali sono le determinanti del successo formativo. Sì, perché dietro al miraggio di una preparazione tecnica di eccellenza si nasconde la piaga sociale del disagio giovanile e della dispersione scolastica. Più di centomila giovani in età di obbligo scolastico sono in realtà al di fuori di ogni percorso, mentre sui banchi di scuola cresce la demotivazione e il disinteresse.



La ricerca, curata da Fondazione per la Sussidiarietà e Cnr-Ceris, ha dunque osservato da vicino il sistema degli Istituti professionali di Stato (Ips) e quello dei Centri della formazione professionale (Cfp), indagando le caratteristiche dell’offerta e del metodo didattico, il livello di soddisfazione manifestato dagli studenti e il loro stato occupazionale a due anni dal conseguimento del diploma o della qualifica. Un quesito è stato alla base di tutto il lavoro di indagine: come l’impostazione didattica adottata influisce in uscita sull’inserimento lavorativo e sociale? E, in particolare, un’impostazione più sussidiaria è in grado di migliorare i risultati in termini di soddisfazione dell’utenza e di placement?



Per tentare di rispondere a tale quesito, che sta a cuore a tutti i valutatori dei sistemi regionali, è stato predisposto un complesso disegno di ricerca, composto da due indagini quantitative (a presidi e direttori di centri, e a diplomati di Ips e a qualificati di Cfp) e da una duplice indagine qualitativa mirante a delineare l’evoluzione dell’assetto istituzionale e a evidenziare le caratteristiche degli interventi eccellenti.

Per verificare le ipotesi anzidette è stato in particolare adottato un modello statistico (modello a equazioni strutturali) in grado di valutare non solo i risultati del processo formativo attraverso indicatori compositi espressi in una scala 0-100 (indicando con valori maggiori di 50 i livelli più significativi), ma anche l’influenza di alcune variabili (valutata in percentuale) sul successo del processo stesso nelle diverse tipologie di scuole, naturalmente dopo aver depurato i dati individuali delle differenze strutturali in ingresso (differente durata dei percorsi ed età al momento del diploma/qualifica, bagaglio individuale iniziale).



I risultati

Il modello, in particolare, ha consentito di stimare l’impatto sull’output scolastico, e sulla formazione del capitale umano più in generale, di un approccio educativo basato sulla sussidiarietà quale espressione dell’attenzione alla persona, del valore dell’accoglienza e dell’orientamento, del valore dell’esperienza e del metodo di insegnamento (induttivo-deduttivo) e sull’attenzione alle attività educative non tecniche. Come outcome di questo processo si è inoltre valutato l’inserimento nel lavoro e nella società dei giovani diplomati e qualificati.

Per quanto concerne i dati provenienti dall’indagine sui presidi, le differenze più evidenti riguardano un approccio più sussidiario dei Cfp rispetto agli Ips per quanto concerne le attività legate all’accoglienza e all’orientamento (75 contro 69) e l’attenzione alla persona (50 contro 47). I Cfp sembrano soddisfare maggiormente gli allievi soprattutto per quanto riguarda le attività educative non tecniche (67 a 53), ma anche per l’accoglienza e l’orientamento (73 contro 62), l’attenzione alla persona (70 a 62) e il valore dell’esperienza (60 a 54).

È abbastanza rilevante la differenza del grado di sussidiarietà nell’offerta formativa fra i Cfp e gli Ips (70 contro 58). Anche per quanto concerne il capitale umano si evidenzia una differenza non irrilevante (circa 7 punti a vantaggio dei Cfp). L’inserimento lavorativo evidenzia un migliore risultato, in termini di tempi leggermente più ridotti e del maggiore tasso di occupazione a sei mesi dal conseguimento del titolo, dei diplomati degli Ips con uno scarto di circa 10 punti rispetto ai Cfp. A questo dato contribuiscono però l’età mediamente più elevata dei diplomati degli Ips rispetto ai qualificati dei Cfp e un contratto che per questi ultimi è spesso di apprendistato. Pari per contro è la soddisfazione lavorativa di entrambi rispetto al percorso di studi seguito.

Va notato, come conseguenza di un approccio educativo basato sulla sussidiarietà, come sia migliore l’inserimento sociale dei Cfp rispetto agli Ips (44 a 36), ancorché non elevato per la giovane età degli intervistati. Una seconda area di confronto fra i due modelli è legata agli impatti sulle variabili obiettivo. Interessante è osservare come il grado di sussidiarietà sia influenzato dalle qualità percepite da diplomati e qualificati sugli elementi dell’offerta formativa. In entrambi i modelli, le attività di accoglienza e orientamento sembrano giocare un ruolo poco significativo sul grado di sussidiarietà.

Gioca per contro un ruolo importante in entrambi il valore dell’esperienza, con un contributo di oltre il 50% per entrambi i tipi di scuola, ma la differenza più rilevante è il forte impatto delle attività educative non tecniche sul grado di sussidiarietà, che nel modello è in rapporto di circa 3 a 1 a favore dei Cfp (42%) contro gli Ips (9%). Per quanto riguarda l’impatto della sussidiarietà sull’output scolastico, l’approccio sussidiario assume un ruolo più importante nel modello dei Cfp rispetto agli Ips (82% di contributo contro il 70%).

È abbastanza similare nei due modelli l’impatto di sussidiarietà e output scolastico sul capitale umano, con una leggera differenza a favore del modello dei Cfp che attribuisce maggior importanza al grado di sussidiarietà (50% contro 44% negli Ips). Per quanto riguarda gli impatti sull’inserimento lavorativo si può notare un’ulteriore differenza fra Ips e Cfp. Invero in quest’ambito mentre l’output scolastico gioca un ruolo importante per i diplomati degli Ips (42% contro 32% nei Cfp) nel favorire l’accesso al lavoro, per i qualificati dei Cfp questo ruolo è giocato dall’espressione del capitale umano nel suo complesso (63% contro 56% negli Ips), cui ha dato un contributo sostanzioso l’approccio maggiormente sussidiario di queste ultime scuole. Anche l’inserimento nella società avviene secondo due modelli diversi fra gli Ips e i Cfp. Mentre nei primi l’aspetto lavorativo gioca un ruolo molto importante (76%), nei Cfp la maggior attenzione ad alcune tematiche sociali nella formazione favorisce un interesse che l’allievo dimostra per la società e ne motiva una maggiore partecipazione.

La sussidiarietà pare dunque essere una chiave fondamentale per il successo e per il governo del sistema, soprattutto in un sistema che è attraversato oggi da notevoli istanze di rinnovamento. Ed è un rinnovamento che si osserva, con una convergenza virtuosa, sia in direzione top-down, grazie al processo di riforma che ha coinvolto sia gli istituti professionali, sia la formazione e che offre ancora ampie possibilità di definizione degli assetti, in particolare a livello regionale, sia a partire in modo sussidiario, dal basso, dagli operatori che, nel pubblico o nel Terzo settore, sono più disposti al cambiamento e alle riforme, anziché accogliere le innovazioni con ostilità.

Tra le buone pratiche analizzate sono emersi tre contributi che gli addetti ai lavori possono dare alla conclusione del processo di riforma:

    Partecipare al processo di riforma dando contenuto al dettato normativo. Molte le indicazioni della riforma sono suonate come parole vuote o di difficile applicazione. Molti soggetti della scuola e della formazione si sono immediatamente coinvolti in un processo di riflessione che che permetta di far emergere a livello di sistema conoscenze, competenze e pratiche per ora diffuse solo a macchia di leopardo.

    Partecipare al processo di riforma creando facendo dialogare i due sottosistemi, a partire da sperimentazioni che hanno permesso la nascita di rapporti fiduciari. Il sistema Ifp è in realtà diviso in due sottosistemi difficili da integrare. Più che con i provvedimenti normativi tale integrazione avviene per la via di connessioni sempre meno sporadiche, che creano una cultura e una fiducia comune e che indicano in modo sussidiario, non pianificato a tavolino, le caratteristiche che tale integrazione deve assumere.

    Partecipare al processo di riforma lanciando segnali per orientarne o correggerne il corso. Se la sussidiarietà è una variabile chiave sia nell’impostazione didattica, sia nel processo di riforma, la palla ora è nel campo delle istituzioni regionali. Sta a loro il compito di cogliere i segnali lanciati dalle esperienze più virtuose e quello di dare loro lo spazio e le risorse per rispondere alla missione di formare un uomo prima ancora che un artigiano.

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