In quali settori si svilupperà l’economia italiana nei prossimi cinque anni? Quale sistema di contrattazione prevarrà per la regolazione dei rapporti di lavoro? Quali le forme organizzative prevalenti? Le imprese sapranno aggregarsi? Come cambierà il rapporto individuo organizzazione? Il lavoro sarà vissuto solo come “fatica” o, soprattutto, come “realizzazione individuale”?



Questioni non da poco, che interpellano persone, imprese, istituzioni, terze parti. Argomenti ai quali è difficile sottrarsi se si possiede un’azienda, se si cerca un lavoro o lo si vuole mantenere, se si hanno responsabilità sociali e istituzionali o, semplicemente, se si vive con impegno il proprio compito di costruzione di quel pezzettino di realtà che ci è consegnato ogni giorno.



Questioni probabilmente fondamentali da conoscere, soprattutto per manager e imprenditori, in un contesto economico e sociale in così rapida evoluzione, sulle quali il contributo di informazioni specifiche e del giudizio di personalità importanti può essere decisivo.

Queste, dunque, le principali domande a cui il 16 maggio Gi Group Academy cercherà di rispondere, presentando un’indagine condotta con la collaborazione di OD&M Consulting e finalizzata a rilevare le principali tendenze che si verificheranno nell’arco dei prossimi cinque anni sul tema del lavoro. La ricerca, condotta tra ottobre 2010 e febbraio 2011, ha coinvolto 24 personalità di diverse categorie professionali esperte di lavoro ed economia, supportate da tre professori universitari ordinari che hanno presidiato scientificamente l’evoluzione del lavoro secondo le prospettive dell’organizzazione aziendale, quella socioeconomica e quella individuale.



I temi saranno esposti dagli autori della ricerca e verranno poi affrontati con l’aiuto di Bernhard Scholz, Presidente delle Compagnia delle Opere, Giuliano Cazzola, Vicepresidente della Commissione Lavoro alla Camera dei Deputati, Gigi Petteni, Segretario generale Cisl Lombardia, Pierangelo Albini, Vice Direttore Relazioni Industriali, Sicurezza e Affari Sociali Confindustria, Stefano Colli Lanzi, amministratore delegato di Gi Group e Presidente Gi Group Academy.

Le informazioni divulgate e i punti su cui verranno intervistati gli ospiti del convegno organizzato dalla fondazione Gi Group Academy saranno estremamente pratici e costituiranno l’esito di un lavoro in cui il contesto e i principali fattori costitutivi del mercato del lavoro italiano saranno stati profondamente esaminati, così da poter essere chiaramente rappresentati nella loro decisività.

L’Italia è ancora uno dei Paesi più industrializzati al mondo, ma la crisi ha accentuato le debolezze di carattere competitivo di alcuni settori storicamente importanti, mentre i servizi e il made in Italy crescono grazie al valore aggiunto in grado di generare. Creatività sostenibile, ricerca e innovazione sembrerebbero fattori decisivi: ma il sistema di istruzione e formazione e le politiche per l’occupazione si stanno evolvendo in questa direzione? Quali attori possono supportare questa strategia di crescita? Come coinvolgere di più i lavoratori: bastano i nuovi modelli di contrattazione di secondo livello? Un nuovo protagonismo di imprese e lavoratori, una ripresa della responsabilità personale di ciascuno sembra essere decisiva per la crescita economica, e una certa consapevolezza dell’importanza del tema si sta effettivamente sviluppando: ma le enormi sacche di improduttività presenti nel nostro Paese potranno essere riassorbite? E come?

Gli spunti per una riflessione personale sono davvero innumerevoli e in grado di arricchire il dibattito in corso per una maggiore presa di coscienza della posta in gioco. Da qualche mese, l’osservatorio della fondazione Gi Group Academy denota che non si può certo parlare di uscita definitiva dalla crisi: quello precedente è semplicemente un mondo che non esiste più, con un’economia gonfiata artificiosamente e modelli non più sostenibili.

È possibile piuttosto indicare una nuova fase, in cui siamo già immersi, caratterizzata da un sistema produttivo che dovrà mostrare di saper generare valore aggiunto qualitativo e innovazione competitiva, uscire da una logica di assistenzialismo pubblico e saper sviluppare nuove modalità di rapporto tra impresa e forza lavoro, nuovi modelli di relazioni industriali con un maggior utilizzo della contrattazione di secondo livello, un mercato del lavoro caratterizzato da flessibilità non solo in entrata, ma anche in uscita, nuovi strumenti in grado di garantire un’occupazione non più basata sull’idea di posto fisso, ma di continuità nell’impiegabilità, la cosiddetta “employability”, un sistema di istruzione e formazione capace di formare secondo le reali esigenze del mercato, la maggior diffusione dell’utilizzo di strumenti come l’apprendistato e lo staff leasing.

L’occupazione sarà quindi sempre più caratterizzata da persone in grado di sviluppare un’impiegabilità all’interno di una formazione continua grazie anche alla presenza di intermediari capaci di supportare lavoratori e aziende nel trovare il miglior punto d’incontro possibile. Si tratta di un processo di evoluzione culturale e di sistema che necessiterà di molti anni per affermarsi, ma i cui primi frutti potranno essere probabilmente colti già nel breve-medio termine.

Anche il divario tra Nord e Sud sembra destinato ad aumentare se non si riuscirà a entrare in una logica di capacità produttiva maggiormente autonoma, probabilmente basata anche su una forma di federalismo che conduca ciascuno a essere più responsabile delle proprie spese e dei propri investimenti, in un tentativo di valorizzazione dell’intrapresa locale e di riconoscimento sussidiario di quanto funziona, visto come servizio pubblico perché di pubblica utilità. Andrebbe modificato il “patto non detto” tra Stato e cittadino per il quale a fronte dell’idolo del “posto fisso” trasformato in “posti poco produttivi per molti” si elargiscono, per gestire il consenso, posti di lavoro quasi inutili e mal pagati, non capaci di generare responsabilità e iniziativa nelle persone e perciò sviluppo per tutti.

Su molti di questi temi gli esiti dell’indagine sapranno gettare maggiore luce. Senza anticiparne i risultati è però possibile indicare altri temi salienti dell’attuale dibattito che sono emersi dai partecipanti. Competitività internazionale e gap dimensionale possono essere supportati da reti di imprese e da operatori sussidiari sul territorio? E l’attuale cultura manageriale supporta un simile bisogno di cambiamento o al contrario lo ostacola? È possibile che le imprese imparino a esprimere fino in fondo la propria identità mettendosi in rete con altre? Imprenditori e manager cercano realmente di acquisire maggiori e necessarie competenze per poter competere sui mercati o preferiscono cercare di ritardare il più possibile gli effetti di certi cambiamenti epocali?

Questioni sulle quali sembra davvero necessario condurre la propria attenzione se si vogliono affrontare le sfide che attendono il futuro del lavoro in Italia nei prossimi anni.

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