“In Italia la laurea non paga”. Queste le parole pronunciate ieri dal direttore generale del Censis, Giuseppe Roma, nel corso dell’audizione alla Commissione Lavoro della Camera dei deputati. “I nostri laureati – ha aggiunto – lavorano meno di chi ha un diploma, meno dei laureati degli altri Paesi europei, e con il passare del tempo questa situazione è pure peggiorata”.



In Italia lavora il 66,9% dei laureati di 25-34 anni, contro una media europea dell’84%, l’87,1% registrato in Francia, l’88% della Germania, l’88,5% del Regno Unito. Al contrario di quello che accade negli altri Paesi europei, il tasso di occupazione tra i laureati italiani di 25-34 anni è più basso di quello dei diplomati della stessa fascia di età (69,5%). Non solo, il tasso di occupazione dei laureati si è ulteriormente ridotto nel tempo, scendendo dal 71,3% del 2007 al 66,9% del 2010.



Dati i tempi prolungati dei diversi cicli formativi, l’ingresso nella vita lavorativa per i giovani italiani è ritardato rispetto agli altri Paesi europei. Nella classe di età 15-24, il 59,5% risulta ancora in formazione, rispetto al 53,5% della media dell’Ue, il 45,1% della Germania e il 39,1% del Regno Unito. Gli occupati sono il 20,5% rispetto al 34,1% della media europea, il 46,2% della Germania e il 47,6% del Regno Unito. La vera anomalia italiana è rappresentata dai giovani che non mostrano interesse né nello studio, né nel lavoro: in Italia sono il 12,1% rispetto al 3,4% della media europea.



Nella classe di età 25-34 anni c’è una inversione fra chi studia (dal 60% si scende al 7%) e chi lavora (dal 21% si sale al 65%), e crescono le persone alla ricerca di un lavoro o esclusi da qualsiasi attività (dal 20% al 28%). È bassa la partecipazione al lavoro nell’età dell’apprendistato e del diploma. Nei successivi dieci anni, la quota di chi non ha avuto accesso alla vita attiva, alla piena autonomia e responsabilità raggiunge il 35% tra i 25-34enni, e la percentuale sale al 45% tra le donne e al 53% nel Mezzogiorno.

Dato questo scenario, Giuseppe Roma ha avanzato alcune proposte per migliorare l’occupabilità delle nuove generazioni. Le proposte sono tre. “Anticipare i tempi della formazione e metterla in fase con le opportunità di lavoro: la laurea breve dovrà sempre più costituire un obiettivo conclusivo nel ciclo di apprendimento”. “Non solo lavoro dipendente, ma soprattutto iniziativa imprenditoriale, professionale e autonoma: bisogna detassare completamente per un triennio le imprese costituite da almeno un anno da parte di giovani con meno di 29 anni”. “Accompagnare il ricambio generazionale in azienda. Si potrebbe introdurre un meccanismo per il quale l’azienda che assume due giovani con alti livelli di professionalità potrà essere aiutata a collocare un lavoratore a tempo indeterminato non più giovane, dopo opportuni corsi di formazione, in altre unità produttive, rimanendo il costo della formazione in capo ai soggetti pubblici”.