Negli ultimi tempi è cresciuta l’attenzione per il lavoro autonomo. Si stanno riscoprendo le ragioni della sua importanza per l’economia e per l‘occupazione, ma insieme gli elementi di fragilità oggi drammaticamente aggravati dalla crisi. Non si tratta solo del lavoro autonomo tradizionale, diffuso nella nostra economia e spesso contiguo alla piccolissima impresa. Questo si è molto sviluppato in passato, talora anche in misura eccessiva rispetto alle dimensioni esistenti nei paesi vicini.



Oggi le forme di questo lavoro si sono diversificate, come e più di quelle del lavoro dipendente. Sono cresciuti i lavori professionali e quelli cosiddetti della conoscenza, particolarmente fra i giovani. Non solo per ricercare autonomia, ma purtroppo anche per mancanza di alternative dentro le nostre imprese, troppo restie a impiegare manodopera professionalizzata. E l’autonomia, quando c’è, è pagata dalla mancanza di protezioni, anche quelle necessarie per garantire un minimo di sicurezza in caso di malattia, maternità, mancanza di commesse. I lavoratori autonomi sono stati lasciati soli da una politica a lungo disattenta.

Oggi ci sono segnali di un nuovo interesse, mi auguro stimolato non solo da appuntamenti elettorali. La maggioranza sta avvertendo che non può più contare su una adesione acritica di questi ceti sociali, come delle piccole imprese, che pure gli hanno dato tradizionalmente fiducia. Il Pd ha capito che deve vincere la diffidenza di cui è stato circondato da questi stessi soggetti, che l’hanno visto difendere troppo esclusivamente il lavoro dipendente. Per far questo deve riconoscere la rilevanza e la specificità economica del lavoro autonomo, coglierne le esigenze di tutela e di promozione.

Con questo spirito, alcuni parlamentari del Pd, fra cui chi scrive, hanno presentato, già un anno fa, un progetto di legge contenente misure per la tutela e per la promozione del lavoro autonomo. La proposta è in linea con i principi dell’art. 35 della Costituzione, secondo cui la Repubblica deve tutelare il lavoro in tutte le forme, e prevede interventi normativi modulati in rapporto ai caratteri specifici di questi lavori che non sono omologabili a quelli del lavoro dipendente.

Per evitare rigidità controproducenti, il ddl prevede una normativa “leggera” di quadro, concentrata su una regolazione di base intesa a cogliere i caratteri e i bisogni comuni alle varie forme di lavoro autonomo. Questo quadro legislativo lascia spazio a esigenze ulteriori cui deve rispondere l’autonomia collettiva e, per i soggetti che possono negoziare in proprio, anche la contrattazione individuale, secondo una logica di sussidiarietà fra le fonti.

Inoltre, la tecnica della normativa quadro permette di rispettare la complessa ripartizione di competenze fra Stato e autonomie locali, in base alla quale soprattutto gli aspetti promozionali degli interventi in materia rientrano sempre più nell’ambito dei poteri normativi e organizzativi delle regioni e degli enti sub regionali. La scelta di concentrarsi su una regolazione comune di base comporta che tale regolazione non annulla la specificità, né si sovrappone alle regole proprie, delle singole categorie (artigiani, commercio, professionisti, cooperatori, collaboratori), ma definisce un denominatore di tutele e incentivi comuni di questi soggetti. È la prevalenza del fattore lavoro rispetto al capitale che va valorizzata, anche se questo lavoro si esprime in forme giuridiche diverse (cooperative, imprese artigiane e commerciali, società di persone).

L’attenzione al lavoro autonomo, anche organizzato in forma di micro impresa, pone tale normativa al confine con altre proposte di legge presenti nello scenario parlamentare e ispirate alle indicazioni europee dello Small Business Act (Sba), in particolare riguardanti lo statuto dell’impresa. I contenuti della normativa rispondono a un duplice obiettivo: di tutela e di promozione del lavoro autonomo. In entrambe le direzioni le nuove proposte non riproducono gli schemi presenti per il lavoro dipendente, ma li adattano ai caratteri di questi lavori. Così, ad esempio, la promozione delle opportunità di impiego e della mobilità richiede che siano istituiti servizi dedicati, osservatori e sportelli unici, in grado di rispondere alle esigenze specifiche di categorie fra loro diverse.

Analogamente, la tutela di questi lavori nei casi di inattività temporanea o di cessazione di attività per crisi di mercato, abbisogna di “sostegni” finalizzati più complessi di quelli forniti dagli ammortizzatori sociali previsti per i dipendenti: prestiti agevolati o sostegni economici in forma di somme forfettarie una tantum, anche a fondo perduto.

Nelle stesse ipotesi è utile fornire appoggio alla costituzione, da parte delle varie categorie di lavoro autonomo, di fondi mutualistici, competenti a erogare agli aderenti aiuti monetari e di servizio in caso di crisi e di inattività. Gli stessi fondi sono abilitati a favorire le attività di formazione e tutele al reddito in caso di malattia, infortunio, maternità e paternità.

A questi obiettivi rispondono misure diverse:

Sostegni alla qualificazione e riqualificazione delle competenze necessarie all’attività svolta, con interventi attivabili da Stato e Regioni, attingendo anche a fondi europei. I sostegni consistono, in particolare, nell’incremento delle deduzioni dalla base imponibile delle spese per la formazione;

Sostegni, anche qui attivabili dallo Stato e dalle Regioni, all’avvio, al consolidamento, alla riconversione delle attività autonome, alla loro internazionalizzazione (finanziamenti in conto capitale, prestiti agevolati, supporto alla ricerca di fondi, servizi informativi e di orientamento);

Misure per favorire un accesso non discriminatorio dei lavoratori autonomi e delle microimprese alle commesse e appalti pubblici;

Incentivi alla ricerca e all’innovazione di impresa, a valere sui fondi esistenti, prevedendo che una quota di essi sia destinata al lavoro autonomo;

Sostegno dell’imprenditoria giovanile e femminile, anche per favorire l’avvio di attività in proprio da parte di lavoratori dipendenti espulsi dal mercato del lavoro;

Promozione delle pari opportunità di accesso al lavoro autonomo e di crescita professionale, attraverso misure specifiche di sostegno alla maternità mirate ai lavoratori autonomi;

Promozione delle opportunità di impiego e della mobilità dei lavoratori autonomi, attraverso l’istituzione di servizi dedicati, osservatori e sportelli unici;

Tutele del reddito in caso di inattività temporanea o di cessazione di attività per crisi di mercato;

In via generale, riduzione dell’imposizione gravante sulle attività di lavoro autonomo, attraverso l’incremento delle deduzioni dalla base imponibile ai fini dell’imposta regionale sulle attività produttive (Irap);

Istituzione, d’intesa con le Regioni, di marchi di qualità per i lavori autonomi, in conformità e a specificazione delle norme previste per la tutela del made in Italy;

semplificazione degli adempimenti amministrativi;

Riordino della disciplina dei pagamenti dei crediti dei lavoratori autonomi nei confronti delle pubbliche amministrazioni e delle imprese committenti, orientato a definire condizioni e termini peculiari per i crediti maturati dai lavoratori autonomi, e a introdurre procedure arbitrali per la soluzione rapida delle controversie relative ai mancati o ritardati pagamenti.

Infine, in via generale, si conferma il riconoscimento, anche per i titolari di attività imprenditoriali e autonome, dei diritti fondamentali già risultanti dalle normative generali, e la valenza interprivata di tali diritti (quindi, in particolare, nei confronti dei committenti).