I dati dei bilanci di numerose imprese fanno cogliere come sia significativo l’apporto dell’innovazione al fatturato. L’innovazione produce effetti molto positivi verso i prodotti, ma soprattutto verso i processi e quindi deve essere appropriata per tipologia di impresa e promossa in forma strutturata per la crescita economica e l’occupazione.
Sappiamo che nel contesto della knowledge economy, le imprese non solo devono eccellere, ma devono essere in grado di innovare più velocemente rispetto ai concorrenti, attraverso la condivisione delle informazioni e la creazione di conoscenza, ideando modalità sempre più avanzate nel fornire servizi e/o prodotti ai clienti. Un’organizzazione che sia in grado di incrementare le abilità dei propri collaboratori, in tempo reale, per trasformarle in soluzioni interne (miglioramento dei processi) riesce ad andare incontro ai reali bisogni dei clienti e crescere in competitività.
Innovare con successo richiede la capacità di saper ascoltare attivamente il proprio cliente interno o esterno, riuscendo, attraverso interventi di reeingineering sul capitale umano, a fare del cambiamento un processo in grado di generare servizi o prodotti in linea con le richieste del mercato. È pertanto particolarmente importante identificare quali sono le dimensioni strategiche per trasformare l’innovazione in azione, formando all’interno dell’impresa persone versatili e multifunzionali che abbiano elevate capacità in termini di pensiero flessibile e che sappiano rispondere prontamente ed efficacemente alle variazioni delle caratteristiche del mercato globalizzato dei prodotti.
Infatti, il mondo è cambiato soprattutto rispetto alla velocità con la quale le innovazioni e le informazioni devono essere recepite dalle aziende ed è ormai universalmente riconosciuto che nella gestione di un’organizzazione devono essere sempre più supportati e sviluppati i cosidetti asset intangibili o capitale intellettuale d’impresa. Trasformare le innovazioni prodotte in beni intellettuali, sui quali è possibile esercitare i diritti di proprietà, costituisce la principale fonte di valore per le imprese e uno tra i principali compiti del top management dovrebbe essere proprio quello di trasformare le conoscenze tacite in esplicite ovvero in capitale intellettuale.
Il Capitale intellettuale può essere definito come la rappresentazione di tutte quelle risorse che costituiscono la fonte della differenza tra il valore di mercato e quello contabile di un’organizzazione e consentono alla stessa di generare un vantaggio competitivo nel tempo. Il Capitale intellettuale d’impresa, quindi è rappresentato dall’insieme delle tre fondamentali risorse: Capitale relazionale, rapporto con i clienti fornitori, reputazione, immagine, fidelizzazione, marchio; Capitale organizzativo, procedure, istruzioni, modelli organizzativi; Capitale umano, conoscenze, comportamenti abilità.
Nell’ambito del Capitale intellettuale, la risorsa strategica per l’innovazione è senz’altro il Capitale umano, termine coniato da Theodore Schultz, un economista, vincitore del Premio Nobel nel 1979, che ha dedicato gran parte dei suoi studi alla condizione dei paesi sottosviluppati nel mondo. Egli giustamente rilevò come i concetti tradizionali dell’economia non avessero finora preso in considerazione questo importante fattore.
La valorizzazione del Capitale umano costituisce, o dovrebbe costituire, un’attività centrale in grado di determinare benefici anche sotto il profilo della qualità della vita e della competitività nella duplice valenza strategica di sviluppo delle potenzialità di ogni singola persona e insieme della partecipazione complessiva delle persone al progresso e crescita della società.
Tale processo si inserisce, peraltro, nel contesto degli orientamenti dell’Unione europea finalizzati alla promozione della società della conoscenza, così come viene espressamente indicato nella Strategia di Lisbona: “To become the most competitive and dynamic knowledge-based economy in the world, capable of sustainable economic growth with more and better jobs and greater social cohesion”.
Il Capitale umano può essere descritto come la combinazione dei seguenti fattori: le caratteristiche individuali apportate dalla persona nel proprio lavoro: intelligenza, energia, attitudine positiva, affidabilità, impegno; motivazione nel condividere le informazioni e le cognizioni: vale a dire spirito di squadra e orientamento verso gli obiettivi; capacità di imparare, competence attidude, prontezza, vivacità intellettuale o pensiero flessibile. La dimensione fondamentale per l’innovazione e la creazione di valore è pertanto il pensiero flessibile, ovvero la capacità di pensare utilizzando tutti gli strumenti cognitivi a disposizione della persona, ricorrendo a categorie diverse in funzione degli interlocutori e delle situazioni.
Il pensiero flessibile, nell’ambito del capitale umano, determina infatti la capacità di apprendere e di intervenire nella soluzione dei problemi complessi, ovvero quelli caratterizzati da un insieme di fatti e informazioni apparentemente non correlati tra loro e che richiedono l’applicazione degli strumenti logici e di analisi critica ma anche intuitivi, emotivi ed etici per la gestione efficace della complessità relazionale e organizzativa. Il pensiero flessibile rappresenta il vero link tra il capitale umano e il capitale finanziario, in quanto mostra la capacità di realizzare prodotti o servizi da idee e processi, generando valore per l’impresa. (crf. F. Sansone, Il Pensiero flessibile, Franco Angeli, 2008, II edizione.)