Il 16 giugno del 1901 nasceva, presso la sede della fratellanza artigiana di Livorno, la Fiom (Federazione italiana operai metalmeccanici). Nel 1946, durante il congresso di Torino, il primo dopo la fine del regime fascista e la ricostituzione delle associazioni sindacali, la Fiom sostituì la parola “italiani” con “impiegati”, ampliando così il proprio spazio d’azione. Si deve inoltre sottolineare come durante gli oltre 50 anni dell’Italia repubblicana questo sindacato sia stato guidato da alcuni dei principali e più validi esponenti del sindacalismo italiano quali Roveda, Lama, Foa e Trentin. Un sindacato, quello delle tute blu della Cgil, che, è opportuno segnalare, rappresenta tuttora, almeno secondo i dati forniti nel 2009, oltre 360 mila lavoratori del settore.



Per celebrare questo importante traguardo, la segreteria nazionale ha organizzato una serie di feste con le quali il sindacato attraverserà il Paese. Una festa che, riprendendo il motto “Signori, entra il lavoro”, con cui Angelo Cabroni chiuse il suo discorso inaugurale del primo congresso tenutosi in quel lontano 1901 a Livorno, vuole dare continuità alle azioni e alle manifestazioni intraprese a partire dallo scorso ottobre sulla base di alcune chiare e precise parole d’ordine: democrazia, diritti, legalità, lavoro e contratto.



In questo quadro deve inserirsi la trasmissione-manifestazione organizzata per oggi dal titolo Tutti in piedi che vedrà, sulla falsariga di Rai per una notte, come mattatore e capocomico Michele Santoro, circondato dai soliti noti Vauro, Travaglio, Dandini e da alcune interessanti new entry come il giudice Ingroia. La conferenza stampa di presentazione della manifestazione è diventata per il noto giornalista e presentatore, che ha appena rescisso il suo contratto con la Rai, l’ennesima occasione per denunciare la mancanza di libertà d’informazione in questo Paese e per proporsi provocatoriamente come nuovo direttore generale della televisione di stato.



Viene da chiedersi “che c’azzecchi” tutto questo con l’azione di un sindacato e con un importante momento celebrativo della propria vita associativa, anche se certamente è un’iniziativa coerente con i più recenti comportamenti tenuti dalla Fiom. Un sindacato che nei mesi scorsi, si deve sottolineare, si era eretto, molto spesso anche grazie a una stampa favorevole e “fiancheggiatrice”, come l’unico e ultimo baluardo a difesa del lavoro, dei lavoratori e dei loro diritti. Una battaglia portata avanti contro tutti, a cominciare dalla propria confederazione sindacale, la Cgil, spesso costretta a prendere le distanze da alcune posizioni delle tute blu che descrivevano le altre confederazioni sindacati come “traditrici” dei lavoratori e asservite ai “giochi del padrone”.

In realtà, sarebbe opportuno ammetterlo per onestà intellettuale, con accordi come quelli di Mirafiori e Pomigliano si sono salvati molti posti di lavoro e importanti investimenti, poste le basi per la creazione di nuove opportunità di occupazione e si è iniziato a costruire un nuovo e più moderno modello di relazioni industriali maggiormente partecipative che si propongono di tenere insieme i diritti dei lavoratori e una maggiore produttività delle imprese. Questo ci chiede, infatti, il mercato globale del XXI secolo con il quale anche i lavoratori e gli imprenditori del nostro Paese sono chiamati necessariamente a confrontarsi.

In questo quadro, spostare la lotta sindacale nei tribunali, mettendo a rischio posti di lavoro e importanti investimenti, come fa la Fiom (domani si terrà la prima udienza della causa contro la newco “Fabbrica Italia Pomigliano”) non sembra essere infatti la strada giusta da intraprendere, né una dimostrazione di particolare forza e vitalità della propria azione sindacale, semmai la sua negazione.

Si ha l’impressione che l’attuale gruppo dirigente di quella che Giuliano Cazzola, attuale vice presidente Pdl della Commissione Lavoro della Camera (ma in passato importante dirigente Cgil), descrive come una gloriosa federazione sindacale, sia stato colpita dal pericolo virus del settarismo e dell’irresponsabilità. Probabilmente la Fiom avrebbe oggi molte più difficoltà ad affermare, come fatto 110 anni fa, “Signori, entra il lavoro”.

Iniziative come quella di oggi segnano, ulteriormente, la politicizzazione della confederazione, sintomo di una manifesta incapacità di rappresentare, senza ricorrere a vecchi schemi ideologici, il mondo del lavoro del terzo millennio. Un pericoloso slittamento che certamente non fa bene alla politica ma nemmeno a quei lavoratori che hanno deciso di aderire a questo sindacato e a cui viene così negato il diritto a una seria ed efficace azione sindacale a tutela dei propri diritti e del proprio lavoro.

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