Mentre ci avviamo alla conclusione dell’anno scolastico, può essere utile una riflessione sull’orientamento. Tutti i percorsi scolastici sono positivi se riescono a far maturare negli studenti scelte responsabili e finalizzate al successo scolastico e di progetto di vita.

Questa convinzione, frutto di constatazione prima che di giudizio di valore, è il risultato del ripensamento complessivo del nostro mondo della scuola, il quale, sinora, ha patito una sorta di diffuso pregiudizio, legato, in particolare, alla formazione a suo tempo ricevuta dai docenti delle scuole medie inferiori incaricati dell’orientamento e quindi delle scelte degli studenti sugli indirizzi di scuola superiore: gli studenti bravi ai Licei, i meno bravi ai Tecnici e quelli inclini all’operatività o problematici sul piano cognitivo ai Professionali o ai Centri di formazione professionale (Cfp) [].



Ci si sta convincendo, invece, forse a seguito del grande rilievo della teoria di Gardner sulle “intelligenze multiple” o quella di Morin sulla “testa ben fatta” [], o, forse, per i semplici dati dell’esperienza formativa, che ogni studente è chiamato a riconoscere e sviluppare i propri “talenti”, seguendo percorsi di studio funzionali a questa scoperta-azione come personale ricerca di senso o gusto del vivere, cioè della classica “felicità”.



Questa la vera sfida dell’orientamento, cioè la scoperta del sé e la sua mediazione verso un mondo esterno che chiede altrettanta significatività: è dall’incontro del sé con la complessità del mondo che matura la ricerca, poi, degli sbocchi di un “lavoro” o di modelli creativi di possibile “occupazione” capaci di dare gusto e risposta a bisogni e domande individuali.

Mentre anche nel recente passato si pensava che solo il pensiero astratto, teorico, fosse funzionale a questa scoperta del sé nella complessità di professionalità ad alto potenziale cognitivo, ora invece sappiamo che noi tutti dobbiamo accompagnare i giovani d’oggi, anche con l’utilizzo di “uscite laterali”, alla scoperta di un proprio ruolo sociale e occupazionale.



Prendendo a prestito, ad esempio, il modello svizzero, tutti i giovani dovrebbero essere valutati in ordine al livello di riconoscimento delle proprie attitudini, con specifiche esperienze laboratoriali, e solo successivamente, una volta espresse specifiche domande di ulteriorità formativa, indirizzati/orientati verso scelte “generaliste” che hanno come sbocco principale l’opzione universitaria.

Seguendo questa scansione in progress, aiuteremmo davvero i nostri studenti a prevenire sconfitte, illusioni, diverse forme di dispersione o di scelta di studi senza possibilità di futuro: prevenire, in poche parole, il rischio della precarietà e di una flessibilità post-moderna non più agganciata al mito del “posto fisso”, soprattutto nella pubblica amministrazione.

Il che non significa che in una “società della conoscenza” tocchi solo a pochi “l’apprendimento lungo l’arco di tutta una vita”. Questo è un imperativo che non può non valere per tutti, al di là di ruoli più o meno socialmente riconosciuti. Allora si comprenderà che tutte le scuole sono buone se “fatte bene”, cioè se protese a far maturare nei giovani la ricerca di un proprio “progetto di vita”.

[1] Le considerazioni qui presentate non sono di carattere storico-genetico, ma cercano di leggere in controluce l’attuale situazione degli indirizzi di studio attivi nel nostro contesto storico, nel momento di maggiore svolta riformista dal 1923 per i Licei e dal 1931 per gli Istituti Tecnici.

[2] Cfr., tra le diverse opere, H.Gardner, Sapere per comprendere, Milano 2001; Id., Educazione e sviluppo della mente, Trento 2005; E. Morin, La testa ben fatta, Milano, 2000; Id., I sette saperi necessari all’educazione del futuro, Milano, 2001.

Le scuole medie, cioè le scuole della “età negata” pre-adolescenziale [], sono essenziali ai fini della scoperta dei propri talenti, dei primi barlumi di passioni e domande “vocazionali” su saperi, stili di vita, ambiti di futuro possibile.

Dobbiamo quindi chiederci: le scuole medie inferiori sono attive sul campo della didattica laboratoriale, delle esperienze sul campo, o si limitano, come nel passato, a trasmettere vecchi standard conoscitivi, per lo più teorico-astratti, per lo più virtuali, sulla vita reale? Quali idee richiamano a proposito delle effettive condizioni della nostra “economia della conoscenza”? Perché non prevedono, sistematicamente, esperienze di laboratorio presso, ad esempio, gli Istituti tecnici e i Licei scientifici? Quanta percezione hanno delle stime di “occupabilità” dei diversi indirizzi di studio? Sono chiare le distinzioni tra “umanesimo letterario”, “umanesimo scientifico” e “umanesimo tecnologico”? []

Queste domande aperte sono più che più importanti. Ma occorre non dimenticare il rischio “funzionalistico”, cioè la pretesa che lo studio individuale e la formazione di ogni studente siano considerali solo in quanto “funzionali” a un posto di lavoro. Perché ogni studente che si inserisce, dopo il diploma o dopo la laurea, nel mondo del lavoro, sa che verrà ogni giorno sollecitato: in quanto operatore in un preciso contesto, ma prima ancora in quanto persona chiamata a investire la propria persona anche (non solo) attraverso il lavoro.

Accanto quindi alle conoscenze e competenze chiamate al continuo approfondimento, verranno in evidenza quelle che sono chiamate le meta-competenze, le quali consentono a ogni persona di disegnare e spendere la propria umanità attraverso (non solo) una particolare professionalità.

Ecco cosa significa la persona come risorsa, con una sua dignità (come fine, e non come mezzo, direbbe il vecchio Kant) che non andrà mai confusa e sovrapposta ai lavori di volta in volta scelti o praticati. Il gusto del vivere incontrerà quindi il lavoro, ma avrà la necessità di non identificarvisi, pena il rischio dell’impoverimento tutto umano-relazionale, che, prima o poi, avrà ricadute anche nello stesso lavoro a suo tempo scelto.

 

[3] Sempre utile un saggio che ha aperto inedite frontiere di ricerca: S.De Pieri (a cura di), L’età negata, Torino 1986.

[4] Importante, per comprendere al meglio le diverse facce della nostra storia umanistica, ben rappresentata dalle figure di Dante (umanesimo letterario), Galileo (umanesimo scientifico) e Leonardo (umanesimo tecnologico), il bel volume di C. Gentili, Umanesimo tecnologico ed istruzione tecnica. Scuola, impresa, professionalità, Roma 2007.