Non è immaginabile alcuna autentica forma di professionalità senza l’esercizio della capacità di una vision lungimirante nel raggiungimento degli obiettivi attraverso la perspicacia nel prevedere gli eventi nelle diverse situazioni, nell’incertezza e nella complessità.
Il termine usato da Aristotele per indicare quella che noi chiamiamo lungimiranza è phronesis, che deriva da phren, mente, senno, e letteralmente significa azione della mente, prudenza. Forse sarebbe meglio, per abbracciare tutta l’ampiezza del suo significato, tradurlo con “saggezza”, piuttosto che con “prudenza”, termine che, come abbiamo visto, nel linguaggio moderno ha assunto un significato alquanto ristretto.
Aristotele, nel definire la prudenza nel libro VI dell’Etica Nicomachea, presenta il modello di quello che egli considera l’uomo saggio: questi non è un filosofo, o un poeta, o comunque uno scrittore, bensì un uomo d’azione, anzi quello che noi oggi chiameremmo un uomo di governo, un leader, ma che gli antichi chiamavano più precisamente un politico: l’ateniese Pericle.
«Noi pensiamo – afferma Aristotele – che Pericle e gli uomini come lui sono saggi, perché sono capaci di vedere ciò che è bene per loro e per gli uomini in generale; e tale capacità hanno, secondo noi, gli uomini che sanno amministrare una famiglia o una città».
La lungimiranza rende capaci di valutare il singolo caso alla luce del bene comune, distinguendo tra la previdenza e la preoccupazione per il futuro. A ciascun tempo, infatti, appartiene la propria sollecitudine o preoccupazione: all’estate si addice la cura del mietere, all’autunno quella della vendemmia. Perciò, se in estate uno già fosse preoccupato della vendemmia, anticiperebbe senza motivo la preoccupazione per il futuro. Educare alla capacità di visione significa educare all’autodecisione cosciente, al senso della responsabilità personale, attraverso l’esercizio dei diversi momenti in cui si articola l’atto lungimirante: conoscenza, giudizio e leadership.
Per l’efficace sviluppo della lungimiranza, secondo Aristotele, oltre a uno sguardo attento della realtà, è importante fare un corretto uso della “memoria” e del “consiglio”. La memoria è innanzitutto fedeltà; significa custodire la vita e ogni suo dettaglio, cose reali e il ricorso degli avvenimenti così come effettivamente si sono svolti. Molte sono le tecniche per lo sviluppo della propria capacità mnemonica in vista di una decisione da prendere. Quelli più utilizzati sono, ad esempio, ricordare gli eventi cominciando dal principio del loro svolgimento; associare il ricordo a immagini che destino stupore in modo che la mente si applichi con maggiore intensità; il disporre ordinatamente l’insieme dei ricorsi e ripensarli. Come dice Aristotele: «I pensieri assidui salvano la memoria». In questo senso, l’esercizio della memoria più che una tecnica è una disposizione abituale.
La vita professionale offre un numero indeterminato di fini immediati da perseguire: per la loro conoscenza non basta nemmeno una lunga esperienza personale, ed è per questo che l’uomo con capacità di visione sa di dover spesso ricorrere con umiltà al “consiglio”. D’altra parte, nessuno che voglia esercitare la lungimiranza nella sua attività professionale può farsi sostituire o esonerare al momento di decidere, quanto appartiene alle nostre disposizioni personali dipende naturalmente da noi. È proprio della decisione lungimirante che essa debba essere presa solo da colui il quale sia posto in concreto nella situazione di decidere.
La lungimiranza esige pertanto una decisione fondata sui fatti, che comprenda sia il valore dell’azione da compiere che i mezzi adeguati per raggiungere gli obiettivi desiderati. Anche per fini giusti sono da evitare vie e mezzi falsi. Il giudizio lungimirante richiede non solo di considerare il significato delle proprie azioni nell’ambito del proprio contesto valoriale di riferimento, ma anche che le modalità dell’attuazione siano conformi al rispetto del bene comune.
Nell’etica Nicomachea Aristotele afferma che «compito della persona lungimirante è soprattutto saper bene deliberare». La concretezza e la praticità dell’atto lungimirante escludono innanzitutto le dichiarazioni astratte e la faciloneria dell’adattamento acritico ai luoghi comuni dominanti, siano essi innovativi o ispirati alla tradizione. La rettitudine che il processo deliberativo ha conseguito nella conoscenza e giudizio della realtà spinge l’uomo dotato di visione all’azione, in modo da non evitare alcuna occasione di fare il bene. Aristotele a tal proposito dice che la lungimiranza ha il compito di «comandare azioni deliberate e giudicate in precedenza; non è quindi attitudine soltanto deliberativa, ma anche e soprattutto esecutiva».
Ogni buon professionista, nell’esercizio della lungimiranza, lotta contro due errori: la negligenza e l’incostanza. Tutt’e due gli errori riguardano le modalità della sua leadership, ma in maniera diversa. Il negligente manca di prontezza nel cogliere l’opportunità di fare il bene, mentre l’incostante è privo di prudenza, perché frastornato da altre cose. Chi ha compiti direttivi, dovendo guidare o almeno esortare gli altri, deve esercitare un’elevata capacità di vision che inizia dal dominio cosciente di se stesso, senza il quale mancherà alla più elementare capacità di esercitare una qualunque influenza su altri.
È richiesto anche, a chi acquista il potere, un grande rispetto per coloro che hanno esercitato in precedenza lo stesso incarico direttivo. Sono molto attuali al riguardo i consigli dati a Carlo V dal suo Gran Cancelliere, Mercurino Arborio di Gattinara. Il dovere del leader consiste innanzitutto nell’eseguire i testamenti dei suoi predecessori e nella scelta di buoni consiglieri: «Se vostra maestà, oltre ai suoi splendidi doni, possedesse la sapienza di Salomone, non potrebbe pur sempre fare tutto da sé»; raccomandava anche di evitare ritardi negli affari, curando il disbrigo dei più importanti ogni giorno, nelle ore del mattino, lasciando una certa iniziativa ai segretari per alleviare il compito del monarca e dello stesso Cancelliere; non si doveva intraprendere nulla che non si potesse mandare a effetto, ma raccogliere invece i propri mezzi in vista dei fini attingibili. Molto importante e attuale è la dissertazione di Mercurino sull’arte di trattare gli uomini: «L’amore dei sudditi è una fortezza inespugnabile, bisogna prendersi cura di loro, ascoltarli».
La capacità di una vision lungimirante presuppone rispetto delle competenze e personalità dei collaboratori ed è vero che il successo personale e aziendale passa sempre attraverso il mettere la persona al centro.