Si è compiuto mercoledì un passo decisivo verso il compimento dell’annunciata riforma del contratto di apprendistato. È un’ulteriore tappa del percorso iniziato più di un anno fa con la sottoscrizione da parte di Governo, Regioni e parti sociali dell’Intesa sulle Linee guida per la formazione nel 2010, datata 17 febbraio.



I contenuti, effettivamente innovativi e unanimemente accettati, di quell’accordo (rinnovato ad aprile 2011, contestualmente agli accordi Stato/Regioni sugli ammortizzatori sociali) hanno segnato il sentiero del cammino a seguire. Cammino scandito in prima battuta dall’Intesa per il rilancio dell’apprendistato del 27 ottobre 2010. Poi dal tavolo di presentazione alle parti sociali delle linee di riforma del contratto di apprendistato svoltosi il 3 maggio scorso. A seguire (solo due giorni dopo, il 5 maggio) dall’approvazione in Consiglio dei Ministri del progetto di Testo Unico dell’apprendistato. Da ultimo con il successo del lungo tavole negoziale di mercoledì pomeriggio.



I prossimi step sono sono l’approvazione del testo alla prossima Conferenza Stato-Regioni, una vera e propria intesa con le parti sociali sul testo definitivo della riforma, i passaggi nelle commissioni parlamentari e l’ultimo via libera da parte del Consiglio dei ministri. È probabile, ma soprattutto auspicabile, che tutto si svolga entro autunno.

Nell’intesa di ottobre le parti avevano concordato sulla considerazione del contratto di apprendistato come “principale canale di ingresso dei giovani nel mercato del lavoro secondo percorsi di qualità utili a valorizzare e accrescere le competenze”. Uno strumento quindi funzionale a contrastare i preoccupanti tassi di disoccupazione giovanile e l’ancor più allarmante inattività diffusa.



La stessa intesa individuava come principali cause del mancato successo dell’apprendistato in oltre dieci anni di vigenza (secondo la triplice forma regolata dalla Legge Biagi) “la complessità della normativa di riferimento”, “l’incerto riparto di competenze tra Stato, Regioni e parti sociali”, la poca chiarezza del “quadro giuridico” e “la concorrenza di strumenti non sempre correttamente utilizzati (come i tirocini formativi e di orientamento e i contratti di collaborazione coordinata e continuativa nella modalità a progetto)”. Per questo le parti si impegnavano a “dare un nuovo impulso alla occupazione giovanile in apprendistato” risolvendo i nodi emersi.

Non capita spesso di vedere realizzate, in poco tempo e con evidente coerenza alle intenzioni fissate, intese che coinvolgono così tanti attori. Nel caso dell’apprendistato è successo. Metodologicamente il Governo ha scelto di fare un intervento netto, completo (appunto, un nuovo Testo Unico), senza perdersi in modifiche normative chirurgiche. Ne è scaturito un dettato normativo che in soli 7 articoli supera la precedente normativa (ora abrogata) e contiene la regolazione dell’istituto dell’apprendistato, certamente profilata sui contenuti del d.lgs. 276 del 2003 (la legge Biagi), ma non priva di innovazioni anche sostanziali.

Si è chiarito definitivamente, subito in apertura, la natura a tempo indeterminato del rapporto di lavoro. È stato semplificato l’istituto a partire dai nomi delle tre tipologie contrattuali, divenuti ora “apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale”, “apprendistato professionalizzante o contratto di mestiere”, “apprendistato di alta formazione e di ricerca”. Si è deciso di limitare la formazione pubblica dell’apprendistato professionalizzante come impegno orario (90 o 120 ore: è materia di discussione in questi giorni), ma rendendola obbligatoria e di natura trasversale.

Si è aperto alla possibilità dell’utilizzo del contratto per i lavoratori in mobilità e per la Pubblica amministrazione (dove era utilizzabile solo l’apprendistato ex legge Treu). Si è aperto (per il contratto di alta formazione) anche a percorsi misti di lavoro e ricerca. Si è scelto di responsabilizzare fortemente la contrattazione collettiva e le parti sociali prevedendo nel testo diversi rimandi ai contratti (soprattutto quelli nazionali, che definiscono le norme generali). Si sta considerando l’abbassamento della durata massima del professionalizzante (da sei a tre o quattro anni), come richiesto da alcune regioni e sindacati. C’è disponibilità a discutere interventi che permettano la somministrazione di apprendisti, in particolare a tempo indeterminato. È stata trovata una quadra al complesso problema degli standard professionali e formativi (ai quali è dedicato un intero articolo). È garantita la continuità della norma prevedendo un passaggio veloce, ma graduale, alle nuove disposizioni.

Il risultato è una bozza di Testo Unico che è stata accolta positivamente sia dalle Regioni (presenti all’incontro tra il Ministro e le parti sociali) che dai sindacati e dalle associazioni datoriali, con l’eccezione di qualche preventivabile distinguo della Cgil (in particolare, in merito alla richiesta di esplicita fissazione di percentuali di stabilizzazione e alla mancata previsione di una durata minima del contratto).

L’articolato che sarà discusso alla prossima Conferenza Stato-Regioni è quindi un testo largamente condiviso con tutti i soggetti coinvolti. Costruito a partire dall’esperienza concreta degli ultimi otto anni, che hanno permesso di individuare le rigidità e le complessità burocratico/amministrative che hanno sempre ostacolato il decollo dell’apprendistato. Le novità di questa riforma vogliono proprio superare quegli scogli, razionalizzando e asciugando la norma per renderla più facilmente applicabile e comprensibile da lavoratori e imprenditori.

I dati sulla disoccupazione giovanile non permettono di scherzare e non lasciano spazio a pretestuose discussioni ideologiche o politiche. Né si risolvono problemi di tale importanza a parole o con le sole buone intenzioni. In gioco c’è la semplificazione e la solidità dei canali di ingresso dei giovani nel mondo del lavoro.

Un migliore apprendistato è innanzitutto una possibilità in più per quei ragazzi che non trovano dove mettere alla prova i propri talenti e la propria voglia di incidere sulla realtà. Per questo c’è da augurarsi che la riforma vada in porto velocemente.