Tutti i paesi Ocse stanno vivendo rapidi cambiamenti sociali ed economici che rendono la transizione alla vita lavorativa più incerta per i più giovani. La transizione dalla scuola al lavoro è un processo complesso che dipende sia dal livello e dal tipo di percorso scolastico frequentato, sia dalle condizioni generali del mercato del lavoro.
Un segnale di difficoltà crescente per l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro è l’aumento dei cosiddetti Neet (“Not in Education, Employment or Training”), giovani che non lavorano, o intendono lavorare, né sono coinvolti in attività di studio o formazione.
In Italia la quota dei Neet sul totale della popolazione 15-29 anni era più elevata degli altri paesi europei anche prima della crisi e l’incremento tra il 2008 e il 2010 è stato maggiore della media europea. Secondo l’ultimo rapporto annuale Istat nel 2010, i Neet sono oltre 2,1 milioni, 134 mila in più rispetto a un anno prima e rappresentano il 22,1% della popolazione nella stessa fascia di età (20,5% nel 2009). Il confronto europeo mette in luce come la quota dei Neet in Italia sia di 6 punti superiore alla media Ue. L’incidenza dei Neet nel Mezzogiorno arriva al 30,3% rispetto al 15% del centro-nord, anche se il fenomeno si sia è maggiormente nel centro-nord in corrispondenza della crisi.
Per questi giovani diventa fondamentale un supporto all’inserimento lavorativo attraverso interventi di formazione professionale di qualificazione collegati direttamente ai fabbisogni lavorativi territoriali e assistenza nella ricerca del lavoro, con particolare riferimento a coloro che non perseguono percorsi di studio universitari oppure che hanno lauree poco spendibili nel mercato del lavoro.
Ciò rappresenta comunque un intervento di corto respiro. Se si vuole ridurre il fenomeno nel lungo periodo bisogna agire sui due fattori che lo alimentano: la mancanza di un unico contratto di inserimento e la scarsità di informazione orientativa e di collegamento tra i percorsi di studi e il mondo del lavoro.
Nonostante molti aspetti legati al fenomeno dei Neet affondino le radici in motivazioni socio-economiche, tra le politiche attivabili per contrastarlo vi è il superamento dell’attuale divario tra forme contrattuali da un lato estremamente precarie, volatili e prive di protezioni sociali e dall’altro contratti strettamente regolati che danno garanzia e protezione.
L’attuale “sistema duale” favorisce sempre più l’utilizzo da parte delle imprese dei contratti con meno tutele. Si guardino i dati degli inserimenti lavorativi dei giovani laureati lombardi emergenti dalla ricerca Specula: dal 2007 al 2009 per il primo inserimento vi è stata una progressiva diminuzione dell’utilizzo del contratto a tempo determinato e determinato, come anche dei contratti specificamente rivolti ai giovani, in particolare dell’apprendistato, a vantaggio invece del tirocinio, gratuito, che rappresenta oggi la prima forma – non si può definire un contratto di lavoro – di ingresso in azienda.
In Italia e Spagna, i paesi europei maggiormente esposti a questo problema, è da tempo che si propone di superare questo limite attraverso l’introduzione di una specifica forma di “contratto unico” a tempo indeterminato, che preveda un basso livello di salario e di tutele all’ingresso, crescenti col passare del tempo.
La seconda linea di intervento riguarda l’introduzione di informazioni orientative per la scelta del percorso scolastico superiore e universitario. Prima della scelta tutte le famiglie dovrebbero essere messe nelle condizioni di sapere qual è la situazione del mercato del lavoro, quali le possibilità di inserimento lavorativo nei diversi settori al termine del percorso formativo. Generare e offrire una costante informazione sull’andamento del mercato del lavoro a tutti i livelli di scuola deve diventare un dovere primario da parte delle scuole e degli enti di governo.
Chi oggi sceglie un percorso universitario sa quali sono le percentuali di avviamento al lavoro dei laureati nel proprio indirizzo? Con quali contratti e con che livelli salariali? Chi si iscrive a un indirizzo umanistico sa che l’impiego nel comparto dell’istruzione ha iniziato a ridurre le assunzioni e che vi sarà un numero programmato per le abilitazioni all’insegnamento?
L’aumento del livello di informazioni orientative da parte delle scuole deve diventare una priorità perché gli studenti e le famiglie facciano scelte libere e consapevoli. Così come gli enti a cui compete la programmazione dell’offerta devono mantenerla aderente all’evoluzione del mercato del lavoro.