La decisione del giudice di Torino sui nuovi contratti Fiat cambia lo scenario degli investimenti del gruppo automobilistico. La newco creata ad hoc per poter operare con una nuova struttura aziendale è stata accettata, ma è stato ritenuta illegale l’esclusione della Fiom dalla fabbrica.

Non appena è arrivata la notizia, Fiat ha deciso di “congelare” l’investimento di 700 milioni di euro a Pomigliano d’Arco per la produzione della Nuova Panda. E tutto il progetto “Fabbrica Italia” rischia di fermarsi dopo questa sentenza di primo grado, compreso il piano di rilancio di Mirafiori. È chiaro che una sentenza di primo grado non è definitiva, ma vi è il rischio concreto che parte degli investimenti dell’azienda automobilistica finiscano all’estero.



L’investimento di Pomigliano d’Arco è forse quello meno a rischio, poiché è il progetto più sviluppato, mentre Mirafiori rischia di chiudere, se Fiat deciderà di cambiare piani. La politica, sia a livello locale che nazionale, è dunque molto preoccupata per questa sentenza, perché sono in dubbio i 20 miliardi di euro d’investimenti previsti per il nostro Paese da parte dell’azienda torinese; ma proprio la politica è la prima colpevole di una scelta che potrebbe mandare in crisi intere zone produttive.



In Italia non esiste infatti nessun’altra azienda che produce autovetture e questo dipende da decisioni errate di lungo periodo. Investire in Italia è molto difficile e le aziende straniere hanno difficoltà a entrare nel nostro Paese. Non è un caso che in gran Bretagna, dove non esiste più da anni un produttore di veicoli nazionali, produca tre volte il numero di autovetture rispetto all’Italia.

Una tassazione esageratamente elevata e complicata, una burocrazia macchinosa e invasiva, una giustizia lenta e rapporti lavorativi tra azienda e lavoratori complicati sono solo alcuni degli elementi che non hanno permesso uno sviluppo di impianti da parte dei costruttori stranieri. La politica si è inoltre “intestardita” in politiche di incentivi all’acquisto che hanno “dopato” la domanda, senza alcun beneficio per chi avesse voluto investire nel nostro Paese.



La conseguenza è che l’Italia è totalmente dipendente da Fiat, da un punto di vista produttivo, dato che il 100% dei veicoli costruiti sono di marchio torinese. E nel momento in cui Fiat sceglie, per motivi di efficienza, di ridurre i siti produttivi in Italia, la crisi arriva forte e decisa. È l’esempio di Termini Imerese, dove a distanza di due anni dalla decisione di chiudere l’impianto, soluzioni alternative non ne sono state ancora trovate.

Fiat dovrebbe chiudere il secondo trimestre in utile per oltre 100 milioni di euro, secondo le stime degli analisti, ma è risaputo che dall’Italia arrivano solo perdite per il gruppo. Sergio Marchionne ha ripetuto più volte che non è possibile andare avanti in questo modo. Il cambio delle relazioni sindacali era uno dei passi necessari per poter continuare a investire nel nostro Paese.

Fiat è ormai un player internazionale, avendo acquisito Chrysler. Non è certo un attore globale come Volkswagen, vista la debolezza in molti dei paesi a maggiore crescita economica (India e Cina in primis), ma certamente non è più la vecchia Fiat italiana che una certa classe politica e sindacale hanno ancora in mente.

I problemi di Fiat arrivano soprattutto dal mercato europeo, dato che quello americano sembra in forte ripresa. Nel primo semestre del 2011 vi è stato un sorpasso importante, che è stato sottolineato da pochi analisti. Chrysler ha venduto negli Stati Uniti 640.000 autovetture contro le 527.000 vendute nello stesso periodo dello scorso anno. Fiat, invece, ha visto cadere le vendite in Europa a 530.000 veicoli contro i 606.000 venduti nel primo semestre del 2010. Chrysler vale di più in termini di vendite negli Stati Uniti di quanto valga Fiat in Europa. Un sorpasso che evidenzia che gli equilibri nel gruppo torinese cambieranno molto velocemente.

La sentenza forse accelera un percorso già segnato. Fiat non è più un’azienda italiana, ma un player internazionale.