Mentre la Germania, per bocca di Angela Merkel, ha promosso ancora una volta la manovra italiana, pur segnalando la necessità di nuovi interventi futuri a causa dell’alto debito pubblico, la finanziaria nel nostro Paese fa ancora discutere. «Si è deciso di varare una manovra – ci spiega Susanna Camusso, Segretario generale della Cgil – che, in continuità con quelle precedenti, graverà ancora una volta sulle spalle dei soliti noti, dei soggetti più deboli. Un’operazione incentrata sui tagli alla sanità, al lavoro pubblico, alle pensioni e in generale sulla condizione del lavoro e che fa una consistente operazione di aumento delle tasse e delle imposizioni sotto varie forme».
Quali?
Una immediata, quella dei ticket, e l’altra con la clausola di garanzia sulle detrazioni e sulle deduzioni che si scaricherà tutta sul lavoro e sulle famiglie. È solo questa, in realtà la manovra, e per questo crediamo necessario continuare la mobilitazione per cambiarla.
In questo senso la scorsa settimana Il Sole 24 Ore ha proposto nove impegni per la crescita. Cosa ne pensa?
Condivido l’avvio di un dibattito sul tema. Riavviare un processo di crescita è l’esigenza, non più rinviabile, che il Paese deve affrontare, ma nel merito ci sarebbero delle cose da dire. In generale, credo che la crescita deve procedere di pari passo con un’idea di giustizia sociale, altrimenti saranno sempre in pochi ad arricchirsi lasciando indietro il resto del Paese.
Intanto il 28 giugno scorso i sindacati e Confindustria hanno raggiunto un’ipotesi di accordo che, come lei ha già spiegato, apre una nuova stagione. Una dimostrazione che la Cgil è un sindacato “responsabile” e non solo “di opposizione”? L’inizio di rapporti più sereni tra i sindacati?
L’ipotesi di accordo del 28 giugno è un risultato importante, perché ristabilisce una griglia di regole unitarie sulla rappresentanza e la contrattazione, rimettendo al centro il contratto nazionale e rinunciando alla pratica delle deroghe. Chiaramente l’intesa deve essere interpretata tenendo conto del momento che vivevamo e del contesto in cui si muovevano le relazioni sindacali, partendo dall’accordo separato sul modello contrattuale del 2009 fino agli accordi Fiat che hanno messo in discussione il contratto collettivo nazionale di lavoro, passando per le politiche di condizionamento perpetrate dal governo per dividere il fronte sindacale e l’ipotesi di interventi legislativi per rendere alternativo il contratto aziendale a quello nazionale. In questo contesto, con l’ipotesi di accordo, che contiene risposte coerenti alle nostre rivendicazioni, abbiamo messo al riparo la contrattazione e stabilito regole condivise. La contrattazione, infatti, è il ruolo e la responsabilità che deve avere un sindacato.
Qual è, secondo lei, il punto più importante di questa intesa?
Lo dicevo prima, abbiamo definito regole comuni e ristabilito quella che in gergo si chiama la gerarchia delle fonti: il contratto nazionale diventa il punto di riferimento per determinare cosa possa essere delegato al secondo livello di contrattazione. Si certifica, insomma, il fallimento di una certa politica e della strategia avviata di dividere il fronte sindacale e quindi l’intero mondo del lavoro.
Perché la scelta di un quorum per l’eventuale referendum tra i lavoratori su un contratto aziendale?
Un accordo è sempre il risultato di un punto di mediazione da posizioni diverse: sul rapporto lavoratori e iscritti Cgil e Cisl hanno storicamente posizioni diverse, frutto di diverse culture sindacali. Tutta l’ipotesi di accordo è costruita sul criterio della rappresentanza, data dalle iscrizioni al sindacato e dal voto dei rappresentanti sindacali. Dove, invece, come nel caso delle Rsa, non vi è il voto per i rappresentanti, c’è nei fatti l’obbligo al voto dei lavoratori sull’accordo.
Ora, come stabilito dal direttivo nazionale della Cgil, l’ipotesi di accordo dovrà essere sottoposta a una consultazione tra gli iscritti. Che risultato si aspetta?
Mi aspetto che i nostri iscritti valutino positivamente il risultato raggiunto, perché mette fine – ripeto – a una stagione di profonda divisione. Questi tre anni hanno prodotto una balcanizzazione delle relazioni sindacali che ha determinato un paradosso, in un sistema come il nostro che non prevedeva riconoscimento di chi ha titolo a contrattare, e cioè ha reso legittima qualunque modalità di accordo, compresa quella separata. L’ipotesi di intesa mette fine a questa progressiva deriva contrattuale.
Quanto ha dichiarato Landini a proposito dell’accordo e del metodo scelto per la consultazione, oltre alla richiesta di sue dimissioni arrivate da una parte della Fiom, non la preoccupa?
Rispetto alle posizioni assunte dalla Fiom non condivido i toni usati, ma adesso toccherà ai nostri iscritti, delle aziende del sistema confindustriale com’è giusto che sia, esprimersi.
A proposito di Fiom, il 16 luglio c’è arrivata la sentenza del Tribunale di Torino sul suo ricorso contro Fiat. Non teme che ora si possa riaccendere una situazione “esplosiva” tra l’azienda e sindacati? Occorre a questo punto una legge per risolvere la situazione?
Noi non appoggeremo mai una legge “ad aziendam”, né tantomeno una legge che renda alternativo il contratto aziendale rispetto a quello nazionale. Ed è questo ciò che abbiamo scongiurato con l’ipotesi di accordo del 28 giugno. Quanto alla sentenza posso dire che finalmente c’è il riconoscimento della libertà che devono avere i lavoratori di iscriversi al sindacato che vogliono e di poter avere i loro rappresentanti. Tutto ciò che era stato negato dagli accordi separati. Si è sancito il fallimento di un modello fondato sull’esclusione, perché la sentenza afferma che non si può escludere un sindacato. Adesso sarebbe utile che Fiat, invece di sospendere la decisione sugli investimenti, riaprisse il confronto.
Guardando al quadro d’insieme, gli ultimi dati internazionali sembrano segnalare una stabilizzazione del tasso di disoccupazione e un suo lento ma graduale calo. I livelli restano, però, superiori al 2007/2008, quando è cominciata la crisi internazionale. Come si può recuperare ancora terreno? Cosa serve all’Italia per crescere in maniera meno asfittica e più decisa?
I dati sono ancora troppo altalenanti, frutto di una situazione che non si è assolutamente stabilizzata. Il nostro Pil è ancora molto al di sotto rispetto ai dati pre-crisi e con questi dati di crescita ci vorranno diversi anni per ritornare al punto di partenza. Per recuperare terreno serve la crescita: noi abbiamo dato il nostro contributo con l’ipotesi di accordo del 28 giugno, ma è il governo che, con politiche economiche e politiche industriali mirate, deve fare la sua parte. Noi continueremo attraverso la mobilitazione a sollecitare il cambiamento della manovra per poter garantire al Paese e ai suoi giovani un futuro.
(Lorenzo Torrisi)