Insegnamento, orientamento, formazione, lavoro: quali nessi risultano fondamentali e quale percorso è necessario per permettere a un giovane di affrontare l’attuale, complesso, mondo del lavoro?
L’esperienza di chi insegna è quella di trovarsi di fronte a persone che vanno messe nelle condizioni di apprendere non in modo meccanicistico, ma mettendo in moto tutte le proprie risorse umane, intellettive e affettive. E per attivare questo lavoro occorre mettere in gioco non solo la propria competenza specialistica, ma la propria umanità intera.
Ai fini dell’apprendimento si rivelano sempre determinanti un confronto e un giudizio sull’esperienza, la comprensione degli elementi fondamentali dell’esperienza fatta, e la presa di consapevolezza degli elementi attendibili e sviluppabili. Siamo certi che per orientare e per formare professionalmente non sia necessaria una dinamica analoga? Una proposta chiara ed efficace a questo livello sembra essere l’unica percorribile con successo.
Mettersi in gioco con i ragazzi davanti a quel pezzo di realtà che è l’ambito della disciplina insegnata significa anche educare, introdurre cioè alla realtà totale, ai nessi che le cose e le discipline hanno tra loro, dentro un’ipotesi unitaria di sguardo al reale. L’evento educativo, quando è realmente tale, si configura sempre come incontro di persone che hanno qualcosa di importante da dirsi, secondo una distribuzione delle parti che richiede al maestro il compito di orientare e proporre e ai discepoli di ascoltare non passivamente, ma di farsi una ragione di ciò che viene loro detto in modo da decidere in piena libertà come assumersi il loro “rischio” personale. In tutto ciò, non c’è nulla di meccanico, né di automatico, né di esaustivamente organizzato: l’educazione si configura come un gesto di assoluta gratuità perché ciò che non è ancora possa cominciare a essere.
Per chi ha il compito di orientare e di formare giovani da inserire lavorativamente la dinamica da seguire è analoga: un occhio alla massima impiegabilità (che non significa solo competenze specialistiche, ma anche elasticità, trasversalità, comprensione dell’orizzonte e del senso di ciò che si fa), a partire dallo sviluppo dei talenti e della vocazione di chi si ha davanti. Desiderio di espressione personale ed esperienza di un’utilità oggettiva nel lavoro devono infatti essere compresenti, pena il decadimento dell’impeto espressivo e della capacità lavorativa.
In un mercato del lavoro complesso come l’attuale e ancor più come quello che ci attende è necessario che ogni giovane comprenda quanto risulti fondamentale strutturarsi bene, da subito, per far fronte alle sfide future e che abbia maestri, formatori, in grado di operare con l’intelligenza dello scopo oltre che con le competenze necessarie.
San Tommaso d’Aquino, patrono degli studenti e delle scuole cattoliche, chiarisce il primato della scoperta personale a cui un buon insegnante deve condurre i propri discepoli. Il grande studioso medievale sottolinea la differenza che esiste tra un lavoro che può essere prodotto solo con mezzi artificiali (per esempio, la costruzione di una macchina) e un lavoro che può essere prodotto anche dalla natura (per esempio, la crescita di una pianta). Insegnare appartiene alla seconda categoria. Un insegnante si adopererà per facilitare e non sostituire le energie naturali del suo allievo. Sarà come un agricoltore che aiuta la crescita dell’albero attraverso irrigazione, potature, diserbo.
La causa principale della crescita è la forza naturale della pianta, l’agricoltore la assiste. Spesso invece, purtroppo, nell’impostare il modo di insegnare, di orientare, di formare a una professione si è vittime della concezione cartesiana per cui chi apprende è visto in una prospettiva meccanicistica: l’insegnamento diviene sinonimo di cercare di “stipare” le informazioni nello studente come se fosse una macchina passiva, invece di una mente viva. In questo modo però si ottengono pochi risultati e pochissima tenuta nel tempo: forse una delle spiegazioni del fenomeno dei Neet (Not in Education, Employment or Training) che in Italia coinvolge quasi il 29% dei giovani tra i 16 e i 29 anni, nasce anche da qui.
Educare la persona, insegna l’Aquinate, non significa dunque solo addestrare delle competenze, bensì introdurla nel mirabile significato di se stessa e dell’esistenza tutta, permettendo gradualmente che l’immagine del divino che è in ciascuno si compia, si consolidi secondo la positività per cui la persona è stata creata, lo scopo ultimo cui tende, il compito che le è affidato nella vita. Si tratta, in sintesi, di sostenere un’esperienza della realtà a partire da una disciplina, di educare insegnando, orientando, formando, avviando al lavoro.
Aziende, enti formativi, intermediari del lavoro hanno oggi un rilevantissimo compito educativo che, per varie ragioni, talvolta non riesce più a essere realizzato in famiglia o nelle scuole, spesso senza un’ipotesi di lavoro chiara e dunque capace nel tempo di essere verificata dall’esperienza dei ragazzi.
Il cammino educativo non è mai né solitario – ma è un rapporto -, né dualistico – ma è unitario: per educare insegnando, orientando, formando, lavorando, è necessaria la coscienza di avere qualcosa da dire e da comunicare (si inizia a educare perché si è trovato qualcosa che è talmente vero per se stessi che lo si vuole comunicare ad altri) e la consapevolezza dell’utilità e della pertinenza che questo “qualcosa” ha per gli altri e per la situazione storica, per il cammino umano e professionale di chi si ha davanti.
Come osserva A. MacIntyre, insegnando una disciplina è necessario non dimenticare che il punto non è la specializzazione, inevitabile in ogni disciplina e sapere, ma la perdita di senso che si produce quando gli anni di studio e di apprendimento sono concepiti esclusivamente in funzione del passo successivo, e non per la verità di ciò che si studia e si insegna, per la scoperta dei nessi che gli argomenti hanno fra loro, per il rapporto che ogni particolare, per essere intelligibile, deve avere con la totalità che lo costituisce. A livello dell’insegnamento, ciò segna la divaricazione fra le informazioni e le nozioni, o conoscenze, che vengono date, e il rapporto fra di loro e con la realtà, che di esse rappresenta il punto sintetico.
A livello di formazione professionale e inserimento lavorativo la “partita” è piuttosto simile: si tratta di scoprire e di imparare a fare ciò che è funzionale allo scopo di quel lavoro ed espressivo di sé, maturando competenze ed esperienze impiegabili nel tempo, un orizzonte di significato che tenga desta la persona e una disponibilità nel mettersi al servizio del pezzo di realtà che ci è stato consegnato da una mano che non può essere solo quella del datore di lavoro.
La separazione fra le conoscenze e il senso che esse hanno, di cui ci parla MacIntyre, è forse il sintomo più grave e diffuso di una grave carenza culturale ed educativa, per cui le persone “scoppiano” alla prima difficoltà, magari proprio quella di formarsi e cercare un lavoro.
Se lo scopo dell’educazione è funzionalistico, il cuore dell’azione educativa è occupato soprattutto dalla dimensione dell’istruzione e dell’addestramento con tutto l’apparato metodologico che queste forme di trasmissione delle conoscenze comportano. Il problema del metodo assorbe, perciò, tutta la scena con l’ossessività delle procedure e con l’illusione sempre vana di trovare il metodo perfetto e infallibile. Se, invece, lo scopo dell’educazione è umanizzante, cioè volto prima di tutto a far scoprire all’altro il senso di sé come persona umana, l’azione educativa si svolge attraverso altre vie che, per dirla con Romano Guardini, puntano soprattutto all’“incontro” tra persone e all’apertura a ciò che non è ancora, ma può essere. Scrive Guardini che l’uomo è creato come «una forma di inizio»: se resta chiuso in se stesso senza mai correre il rischio di aprirsi alla realtà, allora diverrà sempre più misero e povero.
Lavorare non è forse continuamente l’esperienza di questa apertura? Essere condotti a questa capacità e disponibilità, nel proprio ambito operativo specifico, è allora forse una questione che riguarda anche orientamento e formazione professionale.
Una delle esperienze più interessanti che si compiono insegnando qualcosa a un giovane è la scoperta che quasi sempre i ragazzi non prestano innanzitutto attenzione agli insegnanti per quello che dicono sulla loro disciplina, sulle tecniche di formazione professionale, sulle technicality lavorative, ma soprattutto per la passione che intuiscono per il nostro essere uomini, per il nostro destino di uomini, in ciò che viene spiegato o mostrato loro.
Come può non interessare tutto ciò al mondo del lavoro? La più grande risorsa per un’impresa sono gli uomini: certi di chi sono, e che anche per questa consapevolezza compiono bene il loro dovere, svolgendo con attenzione e impeto costruttivo il proprio compito quotidiano. E com’è possibile che, salvo in rarissimi casi, sia così difficile imbattersi in qualcuno che orienti, formi e introduca al lavoro secondo questa attenzione?
Per chi, come Gi Group Academy, opera nel mondo del lavoro e incontra continuamente giovani in cerca di opportunità lavorative o alle prime esperienze professionali, è sembrato necessario tener conto della dinamica sopra descritta nell’impostare la propria azione, sino a “correre il rischio di educare” nel fare il proprio mestiere. Come? Innanzitutto provando a raggiungere questi ragazzi, puntando sulla creazione di una rete di opportunità di orientamento professionale attraverso alcune agenzie focalizzate sul primo impiego da collocare nelle varie città e realizzando eventi come quello del 19 luglio a Milano, il Gi Day Orientamento-special edition in cui incontrare e orientare i giovani, offrendo loro innanzitutto un assessment sulle proprie capacità e potenzialità.
Gi Group sta lavorando alla creazione di una rete di iniziative insieme a chi si occupa in maniera efficace di formazione professionale, attivando percorsi di formazione a distanza basati sulle esigenze dei mercati locali, incrementando le relazioni non solo con le università, ma anche con scuole professionali di vario tipo così da poter incontrare i ragazzi e orientarli fornendo loro anche indicazioni sul panorama di offerte formative e dei conseguenti sviluppi professionali. Nel contesto dell’iniziativa Gi Group anno dei giovani, nasce così il Gi Day dedicato all’orientamento, per tutti i giovani che non lavorano, non stanno seguendo alcun corso di formazione e non studiano (Neet); pensato anche grazie al contributo degli stessi giovani con cui esiste da tempo un canale aperto di dialogo e confronto attraverso Facebook e il sito web.
Dopo il successo dei primi due Gi Day di Milano e Napoli (cui seguiranno le tappe di Torino, Pescara, Roma, Bologna) dedicati alla presentazione dei giovani alle migliori aziende del territorio interessate a incontrare neolaureati e neodiplomati, si è pensato a questa nuova iniziativa perché è importante non solo dare opportunità di lavoro ai giovani candidati, ma soprattutto supportarli a scegliere il loro percorso professionale, renderli consapevoli dell’importanza di conoscere se stessi e le proprie competenze per offrire la propria professionalità alle aziende.
In questo modo è possibile lavorare sull’occupabilità dei giovani, e cioè sulla capacità di rendersi attivi e attrattivi nel mercato del lavoro attraverso la formazione e l’aggiornamento delle competenze. In questa occasione i ragazzi avranno la possibilità di effettuare un vero e proprio percorso formativo a cura dei consulenti delle “filiali first” di Gi Group, che prevederà sia momenti di gruppo che individuali, e di incontrare circa una decina tra le più importanti scuole e istituti professionali presenti in Lombardia.
A ciascuno verrà data l’opportunità di comprendere meglio il mercato del lavoro attraverso l’attività di gruppo e contemporaneamente di conoscere meglio se stessi attraverso un percorso di autovalutazione a cui seguirà un feedback individuale. Nello specifico i momenti di gruppo prevedono i principali temi del mercato del lavoro e dei modelli di rapporto di lavoro subordinato, parasubordinato e autonomo cui seguiranno le presentazioni dei percorsi di formazione a cura delle scuole e istituti professionali. Il percorso individuale mira a mettere a fuoco le competenze professionali possedute e le principali caratteristiche professionali al fine di formulare un progetto personale con i relativi criteri di autorealizzazione e mettere a punto i principali strumenti di marketing.
Il Gi Day dedicato all’orientamento e le sessioni individuali che ne derivano forniscono un output concreto ai partecipanti: bilancio delle competenze, profilo di personalità e orientamento professionale, curriculum vitae e attestato di partecipazione all’iniziativa. Se anche questa volta si verificherà l’affluenza record delle edizioni dedicate agli incontri con le aziende l’iniziativa verrà replicata in altre Province e Regioni. Ancora una volta una goccia nel mare, ma pur sempre un inizio che verrà collocato in un più ampio progetto di evoluzione e di approfondimento del rapporto tra insegnamento, orientamento, formazione e lavoro che sembra davvero necessario per contribuire alla maturazione di giovani capaci di affrontare con maggior forza e certezza il futuro di questo Paese.
Un contributo che Gi Group intende fornire anche sulla falsariga del “Piano per l’occupabilità dei giovani” recentemente varato dal governo, e presentato dai ministri della Gioventù, Giorgia Meloni, del Welfare, Maurizio Sacconi, e dell’Istruzione, Mariastella Gelmini. Complessivamente, il piano stimola 23 iniziative, mette sul piatto oltre un miliardo di euro e prevede la modernizzazione dell’impianto organizzativo della scuola secondaria superiore attraverso un’offerta formativa innovata, più ricca e articolata, soprattutto per gli istituti tecnici e professionali.
Insegnamento, orientamento, formazione, lavoro: è possibile che i protagonisti di ciascun settore lavorino di più insieme, coordinandosi e sviluppando proposte sinergiche per il bene dei nostri giovani? Questa è la sfida che ci attende: e ora?