Mercoledì scorso è stata presentato il primo rapporto del Sistema Informativo Excelsior realizzato con cadenza trimestrale e su base provinciale. Si tratta di un’innovazione fortemente voluta dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali Maurizio Sacconi, che già nella conferenza stampa dello scorso dicembre della Cabina di Regia per l’occupabilità dei giovani parlava dell’esigenza di identificare, in intervalli più ristretti dell’anno, le principali tendenze delle professioni richieste dal mercato del lavoro.



È importante conoscere il fabbisogno professionale per contrastare il marcato disallineamento formativo tra le competenze richieste dalle imprese e quelle formate dai percorsi professionali, scolastici e universitari. Per venire incontro a questa esigenza il Sistema Informativo di Unioncamere e Ministero ha triplicato la base campionaria annua (vengono ora intervistate 240.000 imprese) e ha quadruplicato il numero delle pubblicazioni annuali (una a trimestre più il rapporto annuale), garantendo contestualmente un bollettino per ognuna delle 105 province italiane.



La vera forza dello strumento non è però nello sforzo statistico di per sé, ma nella possibilità che questi dati hanno di indirizzare l’offerta degli istituti di istruzione e di formazione, in particolare quelli tecnici e professionali, le azioni degli orientatori e le scelte di ragazzi e famiglie. Il successo dell’operazione sarà da valutarsi a posteriori e sarà proporzionalmente connesso al grado di influenza di queste rivelazioni sulle scelte dei soggetti citati. Non è una sfida da poco nell’ottica di una migliore occupabilità dei nostri giovani e della riqualificazione dei disoccupati che, soprattutto in un periodo di crisi come questo, non necessitano di parole, ma di politiche attive concrete e spendibili.



Ancora una volta i dati Excelsior individuano con chiarezza un paradosso tipicamente italiano: nonostante gli allarmanti dati sulla disoccupazione giovanile, e ancor più sull’inattività, le imprese dichiarano essere di “difficile reperimento” il 20% delle assunzioni non stagionali (era addirittura il 26% in piena crisi). Si tratta, soprattutto, di tecnici della sanità e dei servizi sociali, ingegneri, operai metalmeccanici, conduttori di macchinari mobili, addetti ai servizi alla persona, elettromeccanici, operai della chimica e della plastica: oltre il 30% del fabbisogno di queste figure non è coperto o “arrangiato”.

Come si spiega questo apparente controsenso? Probabilmente nella sottovalutazione della formazione per l’occupabilità che le istituzioni italiane hanno prolungato per anni. Molte delle professioni più ricercate hanno una caratterizzazione pratico/manuale, eppure la scuola e l’università italiana sono concentrate innanzitutto sull’aumento delle conoscenze teoriche scisso dalla dimensione pratica. Da almeno quarant’anni il lavoro manuale (con tutte le sue potenzialità teoriche e culturali) è scarsamente considerato dal nostro impianto formativo, di impostazione ancora molto scolasticistica.

La ragione, talvolta involontaria, di questo squilibrio verso la conoscenza teorica è forse da ricercarsi in una matrice culturale che concepisce la conoscenza pratica e l’attività manuale come strada di “serie B”, un ripiego col sapore della sconfitta personale. È al contrario necessario, i dati di Unioncamere lo confermano, affermare più che mai la valenza educativa e formativa di ogni forma di lavoro, nonché la pari dignità di ogni attività lavorativa. Allora il superamento della cortina di vergogna verso le soluzioni formative tecniche e professionali (da settembre rilanciate dall’atteso avvio degli Istituti Tecnici Superiori, ITS) sarà occasione per mettere al centro il talento di ogni ragazzo alle prese con la scelta del percorso secondario superiore.

Tanto più che quelle soluzioni si dimostrano di “successo”: oltre 170.000 giovani si sono già iscritti ai percorsi triennali regionali di Istruzione e Formazione Professionale e due recenti ricerche nazionali (curate da Isfol e dalla Fondazione per la Sussidiarietà) certificano gli ottimi esiti occupazionali di questa scelta. Come diceva don Bosco, c’è chi ha “l’intelligenza nelle mani” ed è questo il dato reale da cui partire, non la convenzione sociale o il progetto ministeriale. Se la vocazione al lavoro manuale non è assecondata già dall’adolescenza è molto improbabile che si riesca a coltivarla in seguito.

Per questo è assai importante il recente favore delle politiche dei Ministeri del lavoro e dell’Istruzione verso l’alternanza scuola lavoro e l’apprendistato (in particolare quello rivolto ai giovani ancora in età dell’obbligo per il conseguimento della qualifica o del diploma professionale). Il nuovo Testo Unico dell’apprendistato recentemente costruito da Governo, regioni e parti sociali è un passo avanti non solo normativo, ma anche culturale, verso il superamento della tradizionale distinzione tra sapere e saper fare.

Passa da qui la possibilità di offrire ai tanti giovani che chiedono lavoro concreti percorsi di apprendimento, coerenti con i fabbisogni professionali del tessuto produttivo che sono trimestralmente censiti dalla nuova indagine Excelsior.

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