La liberalizzazione della professione di avvocato e lo stipendio equo ai praticanti di studio potrebbe anche apparire come una strada buona e significativa nell’Italia bardata da antiche e anacronistiche corporazioni. Ma bisogna pure avere attenzione ai salti che si fanno, perché a volte possono essere salti nel buio.



Tanto per cominciare bisogna pure ricordare che l’avvocato non è una sorta, con tutto il rispetto, di salumiere, dove si va a prendere il prosciutto e lo si giudica se buono o cattivo. L’avvocato tratta questioni come la libertà personale del cliente, notevoli problemi amministrativi, di lavoro e anche di interesse patrimoniale. E, per la natura della professione e la complessità delle leggi, il cittadino che si affida a un legale non è in grado di valutare la capacità del suo legale e la sua posizione nei processi.



Paolo Tosoni, bravo avvocato milanese, dice a IlSussidiario.net: «Io non sono affatto contrario alle liberalizzazioni, però ritengo che la professione di avvocato sia una di quelle che vanno tutelate. Basta pensare che questa professione è infatti tutelata in tutta Europa ed è stata liberalizzata solo in Spagna. Ma adesso, proprio in Spagna si sta facendo marcia indietro, perché ci si rende conto che questa liberalizzazione non funziona fatta in questo modo e crea anche notevoli danni».

È vero, e lo fa notare anche Tososni, che la professione regolata nel modo attuale in Italia non funziona bene. L’esame di Stato è diventato troppo semplice e quindi l’accesso alla professione è stato facilitato. Un dato è sufficiente a documentare questa facilità, questa semplicità che è stata un traguardo sbagliato di questi ultimi anni. Il numero degli avvocati in Italia si aggira su 250mila persone, cioè un quarto di milione di persone. Una quantità sproporzionata rispetto ad altri paesi occidentali, anche se la litigiosità italiana è nota.



A Napoli ci sono migliaia di avvocati più che a Parigi e così si può dire per altre città italiane. In sostanza bisognerebbe migliorare la situazione attuale, magari facendo selezioni più aggiornate negli esami e percorrere altre strade di riforma della professione forense, che già sono in cantiere, ma che poi vengono regolarmente lasciate in un cassetto oppure dimenticate.

Cercando una prima conclusione si può affermare che una liberalizzazione fatta in questo modo è, secondo le parole dell’avvocato Paolo Tosoni: «Un rischio che non ci si può permettere di correre con tanta facilità e semplicità, inalberando solo l’insegna delle liberalizzazioni. Ci sono professioni e professioni». Ma la domanda che ci pone è allora perché si è scelto nel pacchetto delle liberalizzazioni proprio quella della professione forense? La risposta che viene da Paolo Tosoni lascia veramente con l’amaro in bocca: «Questa è una sorta di tassa che viene pagata a Confindustria e ai sindacati per non avere ostacoli e problemi nelle vertenze che devono affrontare. La sensazione, e forse più di una sensazione, è proprio questa. Allora meglio non parlare di riforma. La giustizia in Italia ha già tanti problemi. Inutile aggiungerne altri».

 

(GDR)