Nel mondo del lavoro il successo si ottiene spesso con piccoli passi e con la capacità di perseverare in percorsi di cui si percepisce a un tempo la difficoltà e la coerenza con gli interessi generali dell’azienda e dei colleghi e clienti. La determinazione non consiste quindi nell’aggressività immotivata, ma nella persistenza accompagnata dall’attenzione alle circostanze di tutti gli stakeholders.
Aristotele identifica la fortezza con il coraggio e la fa consistere nel “giusto mezzo tra l’impetuosità e la codardia” (Etica Nic. 1115a, 6). In particolare, senza una particolare forma di determinazione che possiamo definire magnanimità è inconcepibile la conquista di un qualunque traguardo professionale significativo.
Il magnanimo, secondo Aristotele, tende verso grandi cose; anzi, si ritiene degno delle più gradi cose e, perciò, cerca gli onori a costo di esporsi a grossi pericoli. Non ogni forma di grandiosità e di onore interessa il magnanimo. “Sarai magnanimo – dice Seneca – se non cercherai i pericoli come il temerario, né li paventerai come il pauroso, poiché niente rende l’animo pauroso, se non la coscienza di una vita riprovevole”.
Sa prendere posizione con chiarezza, senza attendere che il corso degli eventi decida per lui. Il fine dell’atto magnanimo è l’opera grande, ma la sua materia è il valore di cui tale opera è degna. In questa luce si comprende la ben nota bramosia che affliggeva il Gucciardini, umiliato e negletto, di vedersi “stimato e onorato dagli uomini, di mantenere fresca la sua reputazione […] perché lo essere in riverenza apprezzo agli altri uomini non si può che non sia cosa bella e beata”.
Il buon professionista accetta senza turbarsi gli avvenimenti e le variazioni della fortuna, non meravigliandosi dei voltafaccia degli uomini. E ciò che, invece, mal sopportava Machiavelli il quale, caduto in disgrazia, sentendosi inutile, chiedeva ai Medici che si servissero nuovamente di lui sia pure per “voltolare un sasso”. Sono molti, purtroppo, i professionisti che fanno confusione tra le loro qualità personali e il ruolo che occupano, andando irrimediabilmente incontro, per l’avvicendarsi delle cariche, a crisi esistenziali.
L’esercizio della magnanimità richiede la disponibilità dei mezzi adatti, tra cui beni e risorse economiche, ma il magnanimo non si esalta troppo quando possiede beni materiali, né si abbatte molto quando li perde. Ci sono comportamenti connessi alla magnanimità, come la magnificenza e la liberalità, che non si possono esercitare senza beni di fortuna.
Sebbene la magnificenza ponga l’accento, più che sul dono generosamente offerto, sull’opera grandiosa e splendida, la quale non dipende soltanto dall’impiego di vistosi mezzi economici, ma soprattutto dall’abilità, dal gusto e dal coinvolgimento personale e dalla qualità degli atteggiamenti che accompagnano la realizzazione di un’opera. Più che virtù delle grandi spese, la magnificenza è virtù delle grandi opere da fare: anche spendendo poco si può essere magnifici.
La dimensione sociale della magnificenza induce a esercitare la professione non pensando prevalentemente al guadagno, ma al bene comune, con criteri di imprenditorialità e di altruismo tali da promuovere ricchezza e lavoro degno per tutti. Dice Aristotele che il “magnifico” con una spesa uguale, cioè proporzionata, renderà l’opera più splendida, a condizione che abbia moderato e vinto l’attaccamento alle proprie ricchezze.
Per contro, lo spilorcio, così bene descritto da Werner Sombart nel suo celebre contributo alla storia dello spirito dell’uomo economico moderno (il borghese), mira principalmente e in tutto a spendere poco e, di conseguenza, rimpiccolisce ogni sua opera; pertanto, pur spendendo a volte grandi somme, rovina le sue stesse fatiche con lavori scadenti, opere brutte. È stato, purtroppo, ancora una volta Machiavelli a fare scuola: “Siate parsimoniosi con i vostri denari, e liberali col denaro altrui”.
Spetta a nuove generazioni di professionisti magnanimi il compito di dare dignità al lavoro, in modo da non far prevalere mai la ricerca del guadagno e del facile arricchimento personale che rendono ottusi alla dimensione della bellezza: occorre passare da un “buon lavoro” a un “bel lavoro”.
Quanto più il frutto del lavoro umano è a vantaggio della collettività, tanto più deve essere accompagnato da magnanimità e magnificenza. Oggi, come sempre, piacciono a tutti “le opere magnifiche e molto utilissime” (Leon Battista Alberti).