Tutto fermo, l’indice delle retribuzioni orarie di luglio – è l’ultimo dato dell’Istat – è rimasto invariato rispetto al mese precedente. Rispetto allo scorso anno, invece – stesso periodo – si è registrato un rialzo dell’1,7%. «Il dato è preoccupante: accanto allo stallo delle retribuzioni, infatti, si sta verificando l’aumento dei prezzi», spiega, interpellato da ilSussidiario.net Luca Solari, docente di organizzazione aziendale all’Università degli Studi di Milano. Gli fanno eco Federconsumatori e Adusbef che definiscono il trend «estremamente preoccupante»; e calcolano, per il 2011, una stangata di 1.521 euro a famiglia. Anzitutto, in ogni caso, è bene fare una precisazione: «va specificato – dice Solari – come i dati riguardino l’andamento retributivo che emerge dai contratti, non le retribuzioni reali. Ci possono essere aumenti concretamente in essere legati, ad esempio, ai contratti aziendali integrativi».
Ciò detto, i dati rivelano un’allarmante inversione di tendenza. «Se osserviamo, nel tempo, l’andamento retributivo e lo confrontiamo con quello dei prezzi al consumo, notiamo un fenomeno inedito: l’incremento anno su anno delle retribuzioni è sempre stato superiore all’inflazione, sino a ottobre 2010. A quel punto, la forbice si è invertita. Ad oggi, l’aumento retributivo è inferiore all’inflazione». La responsabilità del capovolgimento è attribuibile, tanto per cominciare, ai mancati rinnovi dei contratti. «Si stano dilatando, e di molto, i tempi d’attesa; secondo il rapporto dell’Istat si è giunti ad una media di 20 mesi. Va da sé che se il contratto non viene rinnovato non può essere neanche adeguato da un punto di vista retributivo».
Tale dinamica, a sua volta, può essere un risvolto reale della crisi, alcuni effetti della quale stanno avendo luogo solo adesso: «Per tutto il 2009 e il 2010, infatti, nel pieno dei tumulti economici e finanziari, si sono mantenuti i contratti già da tempo in vigore. Ora, in sede di negoziazione, non si riesce a contrattare l’incremento del costo della vita». La somma di più fattori aumenta l’incertezza nei confronti del futuro: «la situazione congiunturale è complicata, i sindacati sono oggettivamente indeboliti; difficile immaginare che ci si siederà attorno ad un tavolo per redigere un nuovo contratto o rinnovarlo, permettendo il recupero di quello che si è perso sinora».
Come se non bastasse, sul finire di quella precedente, si è innescata un’altra crisi, in pieno corso. «Il rischio è che gli effetti di entrambe si sovrappongano. Molte famiglie già adesso stentano ad arrivare a fine mese. Si assisterà ad un ulteriore impoverimento della classe media, che non ha mai sperimentato simili difficoltà». E’ opinione condivisa all’unanimità che la strada per ribaltare lo scenario sia una sola: «il problema di fondo è che senza crescita non c’è redistribuzione della ricchezza. E’ in discussione se questo vada fatto implementando la spesa pubblica o restringendo il perimetro d’azione dello Stato. Sta di fatto che, se la torta non aumenta, l’unica alternativa è stabilire che si debbano ridistribuire i pesi relativi alla contribuzione tra redditi da lavoro e ricchezza da patrimonio».
(Paolo Nessi)