“Fabbrica Italia”? Al massimo “Fabbrica Corea in Italia”. Perché perfino i bassissimi costi di produzione coreani da soli non bastano per portare un’impresa a dei buoni risultati economici, ma devono essere accompagnati da prodotti buoni e buone strategie commerciali. Che, nel caso della Fiat di Sergio Marchionne, per ora proprio non si vedono. Ed è un “per ora” che dura ormai da un paio d’anni.
Per cui oggi, pur con tutte le riserve sull’atteggiamento complessivo della Fiom-Cgil sui temi delle relazioni industriali, va dato atto al suo leader, Maurizio Landini, che ha ragione quando definisce “scatola vuota” il famoso eppure mai rivelato piano Fabbrica Italia del manager dal pulloverino. Più si allontana nel tempo la fase dell’insperato risanamento finanziario della Fiat operato da Marchionne nei primi due-tre anni del suo lavoro a Torino, più il “tocco magico” che oggettivamente il manager ha avuto all’epoca sembra superato, appannato, archiviato.
Sul fronte delle strategie commerciali, della diversificazione dei mercati e, soprattutto, dell’ideazione, progettazione e lancio di nuovi prodotti Marchionne non può purtroppo vantare nessun autentico successo, neppure quello della nuova Cinquecento, indubbiamente apprezzata in Italia e forse anche in Europa, ma comunque su una scala molto inferiore al necessario, e incapace di sedurre il mercato statunitense, a dispetto di sforzi (pochi) e promesse (molte): e anche la Cinquecento era un progetto preesistente all’avvento dell’era Marchionne.
Sia in India, dove proprio nelle scorse settimana Marchionne ha ammesso che i rapporti con Tata Group non hanno portato i risultati attesi, che in Cina, dove la scelta del nuovo partner è appena stata fatta e non ha ancora neanche avuto il tempo di portare frutti – mentre da anni la Daimler e la Volkswagen stanno sbancando in quel mercato – la Fiat ha perso occasioni d’oro, e perfino in Brasile – dov’è ancora forte, grazie alle scelte per l’epoca davvero lungimiranti di Cesare Romiti e Paolo Cantarella – ha perso posizioni a favore dei tedeschi.
La spiegazione sostanziale è semplicissima e risiede interamente nell’esasperato egocentrismo di Marchionne, che è convinto di potere e dovere saper tutto e gestire tutto, oscurando sostanzialmente la squadra manageriale, selezionata – per carità, tra tutti manager di prim’ordine – in base al criterio finale dell’acquiescenza alla linea del capo. Il quale, pur essendo un geniale manager finanziario, non è uomo di prodotto, non ama l’auto, e non riesce a idearne né lascia che altri ne ideino di nuove e di competitive. I suoi uomini migliori, nel settore del prodotto, se ne sono andati da tempo. E i nostalgici di Mirafiori rievocano con dolore i tempi in cui un professionista dell’auto come Cantarella poteva dire, pur essendo stimatissimo da Romiti e ricambiandolo di pari stima e affetto, che “il dottore non sa neanche se le ruote sulle macchine si montano verticali o orizzontali, a quello provvedo io, lui per fortuna è a corso Marconi a gestire la baracca”. Altri tempi. Romiti sembrava un “lider maximo”, ma a confronto con Marchionne era il più democratico dei capi.
Qualcosa però si sta inceppando, nel meccanismo finora vincente del sistema-Marchionne. E tocca dire “purtroppo si sta inceppando”, perché poi le conseguenze le pagheranno i lavoratori e il sistema-Paese, non certo il top-manager e i suoi azionisti, o meglio: anche loro, ma senza poi chissà quale danno per tasche e futuro. Ciò che si sta inceppando è l’alchimia magica sulla quale aveva scommesso Marchionne, per spostare l’attenzione e le attese dal quadrante italiano a quello globale: l’alchimia con la Chrysler, di cui Fiat è ormai padrona. Ebbene, il rinnovo del contratto con gli operai Chrysler, che Marchionne postulava agevole e senza aggravi, si sta rivelando ben più problematico.
Alla proposta aziendale, che sostanzialmente prevede continuità piena con il regime di emergenza vissuto negli ultimi anni dalle maestranze Chrysler (che sono azioniste di minoranza della corporation), il capo del potente sindacato americano dell’auto (Uaw) Bob King ha detto no. Proprio King, col quale Marchionne sfoggiava affinità elettiva e baci e abbracci davanti a flash e riflettori, chiede per i suoi rappresentati la cosa più ovvia del mondo: più soldi. Due dollari in più all’ora per i nuovi assunti (pagati fino a oggi 14 dollari l’ora, la metà dei colleghi anziani) e chiede che i lavoratori prendano parte alla distribuzione dell’eventuale utile aziendale.
La sia pur tardiva resipiscenza di Bob King – dopo tanti “sì” regalati al manager – sarà forse utile al caterpillar-Marchionne per ricordarsi che le relazioni industriali nel mondo, grazie a Dio, sono andate un po’ più avanti di quanto configurato duemila anni fa dall’apologo di Memenio Agrippa, che rappresenta forse per il capo della Fiat un po’ la summa delle sua ideologia. Giova ricordarlo, in sintesi: le mani, che erano scese in sciopero perché stanche di lavorare per uno stomaco che appariva loro ozioso e parassitario, dovettero presto rendersi conto che erano loro le prime a essere indebolite dalla protesta, che lasciava non solo lo stomaco, ma l’intero organismo senza nutrimento.
Ebbene, le cose non stanno precisamente così nell’industria moderna, perché da una parte c’è l’interesse di un corpo sociale, l’organico dell’azienda, a condividere più ampiamente i vantaggi dell’utile aziendale, e dall’altra quello di un azionariato che quando ha ottenuto utili ne ha reinvestiti sempre assai pochi nel futuro dell’azienda…
Quindi il teorema Marchionne, per cui nel mondo globalizzato bisogna lavorare tutti insieme per battere la concorrenza dei Paesi a basso costo del lavoro, dimentica appunto che invece non tutti – al di fuori e al di sopra dei ruoli operai – hanno fatto sempre quanto in loro potere per costruire un futuro industriale sostenibile per Fiat. E dimentica ciò che invece per fortuna inizia a delinearsi, cioè che perfino nei paesi neo-schiavisti come la Cina e la Corea (perché di questo si tratta, di neo-schiavismo, e sarebbe bello se ogni tanto un top-manager globale come Marchionne lo riconoscesse e lo denunciasse all’opinione pubblica internazionale con la credibilità del suo standing) gli sfruttati iniziano a ribellarsi e a chiedere per sé più benefici e meno sacrifici.
Ma le brutte notizie per la Fiat dall’America non nascono soltanto sul fronte sindacale. L’altro guaio è che la vagheggiata contaminazione di modelli Fiat-Chrysler non sta funzionando bene, perché la distanza tra i gusti e le tradizioni degli automobilisti americani e di quelli italiani ed europei è siderale: le auto che più piacciono negli Usa sono indigeste per il signor Rossi come per Monsieur Verdoux; e viceversa, le utilitarie giustamente apprezzate da noi italiani, fanno ridere gli americani.
E allora? Allora in Italia, sul fronte industriale Fiat, si delinea un autunno caldissimo. Dopo la chiusura della Fiat di Termini Imerese (-2000 posti), decisa due anni fa e ormai fissata per dicembre, e dell’Iribus-Iveco di Avellino (-700 posti), non sembrano esserci garanzie di continuità per 500 addetti della Maserati di Modena, e non si sa cosa potrà essere prodotto a Mirafiori per non dover ricorrere ancora alla Cassa integrazione; né si parla di nuove assunzioni a Pomigliano nonostante la nuova Panda, per produrre la quale secondo Marchionne basta il 40% delle maestranze attuali.
A corollario di tanta incertezza, c’è la polemica e l’incertezza giudiziaria sull’articolo 8 della manovra economica d’emergenza varata dal governo, una norma che metterebbe al riparo, nelle intenzioni governative, gli accordi sindacali di Pomigliano e Mirafiori dall’impugnabilità davanti al giudice, cui la Fiom-Cgil si riserva di ricorrere per aggirare il “sì” referendario espresso dalla maggioranza dei lavoratori interessati.
L’ala estrema della Cgil infatti continua a non accettare che le norme di un contratto integrativo aziendale possano derogare a quelle, migliorative, previste dal contratto nazionale “solo perché” accettate dalla maggioranza dei dipendenti dell’azienda stessa, sostenendo che quest’accettazione può essere viziata da un effetto-ricatto: “O dite sì o chiudo”, come realmente aveva minacciato Marchionne.
Su questa delicatissima questione la Confindustria non si è espressa, né per il sì, né per il no, e Marchionne – che ne avrebbe invece voluto l’appoggio – ha minacciato di abbandonarla, per sottrarre la Fiat al vincolo di rispettare i contratti nazionali firmati, appunto, dalla Confindustria. Qualcuno, tra i saggi di Confindustria, ha avuto invece il coraggio di dire come diversamente possono essere viste le cose: ‘‘L’articolo 8 che il governo ha inserito nella manovra non riduce il dualismo, ma l’aumenta’’, ha detto ad esempio l’ex presidente degli industriali Luigi Abete. “La norma crea una disparità tra le imprese dove il sindacato è forte e quelle dove è debole o assente, oltre ad aprire un vulnus sull’accordo del 28 giugno. Nel testo si fa riferimento ai sindacati rilevanti territorialmente, ma questo è un rischio in più, perché può aprire la strada a un ulteriore livello di contrattazione tra il nazionale e l’aziendale’’.
Fin qui Abete, anche se come lui la pensano in molti, e non si tratta di stalinisti. Quanto alla Cgil, non accenna a fare sconti: “Quella norma è anticostituzionale e la porteremo alla Consulta”, ha promesso la Camusso. E almeno questo genere di promesse, il sindacato di solito le mantiene.
Insomma, un brutto autunno si profila per la Fiat. Sulla scia di un’estate fredda: mentre il mercato europeo a giugno è calato dell’8,1% sul 2010 e a luglio dell’1,9%, ad agosto le immatricolazioni sono ripartite: +7,8%. In casa Fiat, invece, ai pessimi giugno e luglio (dove la perdita è stata ben più forte della media europea, con il 9,9%) il segno meno si è rivisto anche ad agosto, -7,6%. E le quote di mercato sono piombate al 7,2% a luglio e addirittura al 5,8% ad agosto.
Queste sono le cifre che contano e, purtroppo, parlano da sole. Il Lingotto ricorda i prossimi lanci dei nuovi modelli: la nuova Panda, appunto, appena presentata a Francoforte, e le Lancia Thema e Voyager (Chrysler travestite). Auguri davvero, cioè auguri a tutti noi.