Quale futuro per la Fiat? Bob King, capo dei sindacati Usa dell’auto, ha dato forfait all’incontro con Marchionne mercoledì scorso, quando ha preferito incontrare i dirigenti di General Motors, primo colosso mondiale dell’auto, il cui contratto scadeva contemporaneamente a quello di Chrysler. Marchionne, in una lettera, ha rinfacciato a King lo stallo del rinnovo dei contratti, precisando: «so che siamo il più piccolo dei costruttori qui a Detroit, ma non per questo siamo il meno rilevante. E non sono meno rilevanti i nostri lavoratori». Una piccola crepa nei rapporti che, «tuttavia, non sortirà, sul lungo periodo effetti dirompenti. Le mire di Marchionne sono ben altre, e l’episodio fa parte della normale dialettica sindacato-imprenditore», spiega, interpellato da ilSussidiario.net il giornalista economico Franco Oppedisano. In ogni caso, il sindacato, sembra dar non pochi problemi all’ad del Lingotto anche in Italia. Non a caso, lo stesso ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, avrebbe fatto presente che, se Marchionne vuole andar via dall’Italia per colpa del sindacato, una risposta è necessario pur dargliela.
Il che, per inciso, non ha una gran significato come affermazione: «Tremonti – spiega, infatti, Oppedisano – in questo momento ha ben altre cose a cui pensare; in sostanza, non vuole avere dei problemi anche con Marchionne. Non se lo può permettere politicamente, né dal punto di vista economico, dal momento che l’Italia continua ad aver bisogno della Fiat. Del resto, Tremonti, come Marchionne, non credo intenda fare gli interessi della Cgil e schierarsi con il sindacato». Che ci siano o meno dei problemi dal punto di vista delle relazioni sindacali, i progetti restano ambiziosi. Il numero uno dell’azienda torinese, presentando agli analisti di Bernstein – a Londra – il target per il 2011, ha spiegato che Fiat e Chrysler puntano a un fatturato di oltre 58 miliardi di euro, a un utile dalla gestione ordinaria di circa 2,1 mld e a un utile netto di 1,7 mld circa.
«Gli obiettivi – continua Oppedisano – sono plausibili, ma non dipendono da Marchionne, dipendono dal mercati. E, data la crisi in atto, con le ipotesi di default per alcuni Stati, difficilmente i mercati saranno floridi per il comparto auto. Oggi ha parlato con gli analisti finanziari e se non avesse confermato gli obiettivi avrebbe dato un segnale di crisi. Certo i target sono importanti, fanno si che si investano più o meno risorse. Ma non sono dogmi da raggiungere a tutti i costi». Resta da capire come influirà l’incidente di Detroit, e come peseranno in futuro le relazione sindacali nella Chrysler di Marchionne.
«In realtà la questione va intesa in un quadro più ampio. La Fiat ha tre grandi gambe: quella brasiliana, di cui nessuno parla ma che ha sempre funto da traino, vendendo e guadagnando proporzionalmente molto di più del resto dell’azienda; quella americana, dove il mercato può crescere, potenzialmente, del 30-40 per cento; e quella europea, dove la porzione più importante è quella italiana». In pratica, questo fa sì che i margini di azione di Marchionne siano ben più ampi di quanto non si immagini. «Giocando contemporaneamente su tre tavoli è più probabile che riesca a mantenere gli obiettivi». Il vero cruccio di Marchionne, in realtà, è un altro: «sa benissimo, tuttavia, che gli affari, oggi, si fanno in Cina, Russia e India, dove ancora non è riuscito a mettere piede in maniera significativa».