Confindustria, Cgil, Cisl, Uil e Ugl hanno firmato definitivamente – in data 21 settembre 2011 – l’accordo interconfederale del 28 giugno. Come ha spiegato a seguire una nota comune, con questa intesa viene ribadito che le materie delle relazioni industriali e della contrattazione sono affidate all’autonoma determinazione delle parti: una risposta di Confindustria e Sindacati dopo le disposizioni previste in materia di rapporti di lavoro dall’articolo 8 della manovra finanziaria. Per la Cgil la cancellazione dell’articolo 8 rimane comunque un obiettivo fondamentale, tant’è che – per bocca del suo Segretario Generale – si parla di ricorso alla Corte Costituzionale.



L’articolo 8 contenuto nella manovra finanziaria approvata dal Parlamento prevede che i contratti collettivi nazionali possano essere derogati da «contratti collettivi di lavoro sottoscritti a livello aziendale o territoriale da associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale, ovvero dalle loro rappresentanze sindacali operanti in azienda ai sensi della normativa di legge e degli accordi interconfederali vigenti compreso l’accordo interconfederale del 28 giugno 2011».



Le deroghe possono essere efficaci erga omnes (nei confronti di tutti) «a condizione di essere sottoscritte sulla base di un criterio maggioritario relativo alle predette rappresentanze sindacali». I contratti in deroga potranno disciplinare «la trasformazione e conversione dei contratti di lavoro» e «le conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro». Quello che cambia non sono le regole del recesso: per licenziare rimane necessaria la giusta causa o il giustificato motivo di licenziamento. Ma il contratto aziendale in deroga potrebbe stabilire che il lavoratore che è stato licenziato ingiustamente, anziché ottenere il reintegro – come è previsto ora dal celebre articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori -, ottenga solo un risarcimento.



L’accordo interconfederale pare innanzitutto voler ricucire la spaccatura del sistema sindacale italiano che ha avuto pesanti effetti anche sulla stessa competitività delle imprese. La crisi degli ultimi tempi, causata da accordi separati anche finiti in tribunale, aveva riaperto la discussione sul nodo della rappresentatività da sempre irrisolto nel sistema di relazioni industriali. L’intesa del 28 giugno cerca di rispondere a questo problema di fondo riprendendo, in forma semplificata, quanto previsto per il pubblico impiego (d.lgs 165/01), ormai testato da più di un decennio di applicazione.

Si fa esplicito richiamo alla titolarità della rappresentanza: saranno infatti ammessi alle negoziazioni i sindacati che rappresentano più del 5% dei lavoratori della categoria cui si applica il contratto nazionale, calcolato sulla media tra il numero di deleghe per la raccolta dei contributi sindacali (che dovrà essere certificato dall’Inps) e le preferenze ottenute nelle elezioni dei rappresentanti sindacali (Rsu).

L’altra grande innovazione è la definizione, finalmente condivisa, dei rapporti fra il contratto nazionale e quello aziendale. A oggi la Cgil, pungolata dalla sua forte costola interna (la Fiom), aveva guardato con sospetto la possibilità di consentire ai contratti collettivi territoriali o aziendali di derogare a quello nazionale. Con il nuovo accordo, si stabilisce in via definitiva il principio generale per cui spetta al livello nazionale il ruolo di garanzia dei diritti minimi dei lavoratori, mentre la contrattazione aziendale può disporre sulle materie delegate dal contratto nazionale. Tuttavia, i contratti collettivi nazionali potranno anche prevedere apposite procedure per stabilire a livello aziendale “specifiche intese modificative” delle proprie regole.

L’accordo del 28 giugno va anche oltre: potranno essere conclusi contratti aziendali qualora tali intese siano finalizzate a gestire una situazione di crisi o in presenza di significativi investimenti per aumentare la produttività e l’occupazione dell’impresa. Le deroghe potranno riguardare “la prestazione lavorativa, gli orari e l’organizzazione del lavoro”. Rimane escluso l’aspetto retributivo.

L’accordo interconfederale cerca anche di porre fine alle lotte sugli accordi separati nelle aziende: se il contratto aziendale sarà approvato dalla maggioranza dei sindacalisti eletti in azienda (Rsu) diventerà efficace erga omnes. Se, invece, i firmatari saranno i sindacalisti aziendali non eletti ma nominati (Rsa), il contratto aziendale potrà avere efficacia vincolante erga omnes se sottoscritto da sindacati che rappresentano la maggioranza dei lavoratori. In questo caso, l’accordo potrà poi essere sottoposto a referendum a richiesta di una delle organizzazione sindacali aderenti all’accordo interconfederale oppure del 30% dei lavoratori dell’azienda.

I contratti aziendali così riformati, se approvati dalle maggioranze previste, potranno anche stabilire clausole di tregua sindacale (moratoria degli scioperi), che vincoleranno però, esclusivamente, i sindacati firmatari dell’accordo del 28 giugno e non i singoli lavoratori.

Con il corrente accordo interconfederale si affermano non solo una nuova e auspicata unità sindacale, ma anche l’inevitabile processo di decentramento della contrattazione e la conseguente maggiore libertà nella negoziazione dei piani aziendali, valori oggi indispensabili per un più moderno sistema di relazioni industriali.

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