Senza ambizione – “senza sopravvalutare un poco se stessi”, diceva Goethe – non si riesce a realizzare alcun progetto significativo e di successo. Si tratta di trovare il giusto equilibrio che tempera da una parte il riconoscimento dei propri limiti e, al tempo stesso, la stima di quello che si è in realtà senza bisogno di sottovalutare la propria persona, né la propria personalità. È per contro manifestazione di vera umiltà il giusto sentimento del proprio valore e delle proprie competenze che impedisce di compiere azioni ritenute inadeguate alla propria missione.



A questo principio s’ispirò con grande chiarezza Tommaso Moro, soprattutto dopo le dimissioni dall’ufficio di Cancelliere del regno d’Inghilterra. “La mia decisione – scrive a Giovanni Cocleo, il 14 giugno 1532 – fu dunque determinata dal desiderio di rimettermi in salute, ma molto più dal mio rispetto del bene comune, che io avrei ostacolato in molti modi se, impedito dalla mia malferma salute, fossi diventato io stesso un inciampo agli affari di Stato”.



D’altra parte, l’umiltà nel senso di modestia si coniuga spesso con la magnanimità. Infatti, nell’elogiare la Firenze medicea, il Tasso parlava di modestia “congiunta in amicizia alla magnanimità” e in modo analogo Guicciardini affermava: “In noi manco che in alcuna città regna la modestia del cedere a chi più sa, a chi più merita”. Conseguentemente professionista umile, anche se consapevole del proprio valore e dei propri meriti, evita le manifestazioni di presunzione e di vanagloria e assume abitualmente un contegno discreto e prudente.

Umiltà viene etimologicamente da humus, che non designa semplicemente la polvere, il terriccio, ma la terra fertile; il che sta a significare quale dinamismo e fecondità sono contenuti alla competence attitude dell’umiltà.



Uno dei frutti dell’umiltà è senz’altro l’atteggiamento di gratitudine nella consapevolezza che abbiamo bisogno del contributo e della collaborazione degli altri per realizzare i progetti nei quali siamo impegnati. L’arrogante è invece anche ingrato, pensa di aver ottenuto tutto esclusivamente con le sue forze: non accetta di possedere qualcosa di immeritato e perciò non sa ringraziare. L’arroganza è sempre accompagnata dall’ingratitudine, allo stesso modo con cui l’umiltà spinge alla riconoscenza. Il superbo è sempre arroccato su se stesso in atteggiamento difensivo e perciò provoca costanti conflitti e divisioni nella vita professionale.

Nell’affrontare la soluzione di un problema, il professionista umilmente sincero assumerà le proprie responsabilità senza cercare pretesti. Il superbo troverà sempre una scusa: “Non sono stato io a farlo; l’ho fatto io, ma ho fatto bene la mia parte; non ho operato peggio degli altri; non l’ho fatto per cattiva intenzione; sono stato influenzato dagli altri, ecc.”.

Alla base di molte tensioni nella vita professionale si colloca proprio la difficoltà di riconoscere le proprie responsabilità nelle inevitabili occasioni di difficoltà e insuccesso. Ma giunge il momento in cui, quali che siano le capacità personali, bisogna fare i conti con i propri limiti, errori e ostacoli. Sono altrettanti inviti all’umiltà, che mostrano come le opere che intraprendiamo non sono mai definitivamente compiute. Si può incominciare anche bene, ma bisogna proseguire con umiltà senza spaventarsi dinanzi alle difficoltà.

L’umiltà conduce sulla strada della ricerca di soluzioni per la realizzazione dell’idea e apre le porte all’innovazione. Quante idee o proposte vengono scartate senza essere viste da chi dovrebbe sapere che “non funziona”? Quanto erosione del capitale sociale avviene a partire dall’arroganza di coloro che pensano di possedere la verità? Qual è il costo economico (e umano) per dare potere formale nelle organizzazioni persone poco umili.

Nello studio di Martin Seligman, fondatore della Psicologia Positiva, e autore del testo “Character, Strenghts and Virtues”, l’umiltà viene caratterizza in tal modo: un’accurata consapevolezza delle proprie capacità; l’abilità di riconoscere propri errori, gap, limiti; apertura a nuove idee, contraddittori, suggerimenti; un focus non esclusivo su se stessi; capacità di apprezzare il contributo altrui. “Humility: a realistic assessment of one’s own contribution and the recognition of the contribution of others, along with good fortune that made one’s own success possibile” (A better way to think about business, R. Solomon).

Una delle più note esplicitazioni della correlazione fra l’umiltà e lo sviluppo del business si ritrova negli scritti di Jim Collins che ha condotto un progetto di ricerca, iniziato nel 1996 e terminato nel 2001 con l’identificazione di 11 società che rispondevano al quesito: “Può una buona impresa diventare eccellente? Come?”. Durante la ricerca sono state identificate le società che hanno subito uno shift di performance da buone a eccellenti e che hanno saputo mantenerle nel tempo; queste poi comparate con società che invece non sono riuscite a mantenere nel tempo lo standard raggiunto.

Dalla ricerca sono emersi alcuni tratti specifici comuni a tali imprese. Uno in particolare era relativo alla leadership di tali imprese, quello che l’autore ha definito “Level 5 leadership”, descrivendolo in modo gerarchico rispetto ad altri livelli, caratterizzato da una combinazione paradossale di umiltà personale e determinazione professionale.

Nel contesto di complessità che oggi stiamo vivendo caratterizzato dalle nuove regole della knowledge driven economy non è più possibile adagiarsi sulle posizioni raggiunte, rimanendo ancorati a schemi e metodi di lavoro obsoleti, attuando – con umiltà – continue azioni di reeingineering personali e organizzative, attraverso l’applicazione degli strumenti propri del pensiero flessibile, una nuova dimensione tra logica, etica ed estetica.