Vuoi vedere che, alla fine, sull’articolo 18, la spunta il governo? Settimane a rassicurare i sindacati sul fatto che abolirlo o modificarlo non era questa gran priorità e che, in ogni caso, se ne sarebbe discusso con gli interessati. A lungo. Invece, ecco che Monti ti infila a sorpresa una norma in un decreto, e tutto cambia all’improvviso. Nella bozza del decreto sulle liberalizzazioni, infatti, è inserita la seguente dicitura: «Dopo il comma 1 dell’art. 18 della legge 20 maggio del 1970, n. 300, è aggiunto il seguente: “In caso di incorporazione o di fusione di due o più imprese che occupano alle proprie dipendenze alla data del 31 gennaio 2012 un numero di prestatori d’opera pari o inferiore a quindici, il numero di prestatori di cui al comma precedente è elevato a 50”». Tradotto: l’articolo 18, in svariati casi, varrà solo per le aziende con più di 50 dipendenti.  Cesare Pozzoli, avvocato esperto di diritto del lavoro, spiega a ilSussidiario.net quali conseguenze potrebbe avere un cambiamento del genere. 



«Va ricordato, anzitutto, che le tutele previste dall’articolo 18 si applicano alle aziende che occupino più di 15 dipendenti nello stesso Comune ovvero a quelle che, pur non occupando più di 15 dipendenti in uno stesso Comune, abbiano comunque più di 60 dipendenti sull’intero territorio nazionale», spiega Pozzoli. «Se, ad esempio, un’impresa ha due stabilimenti produttivi, l’uno a Milano e un altro a Torino, entrambi con 14 dipendenti, benché il numero totale dei dipendenti sia di 28, a essa non è applicabile la normativa sulla “reintegrazione”». Quale sarebbe il senso della nuova normativa? «Per quanto sta trapelando in queste ore – spiega Pozzoli -, consisterebbe nel tentativo di ridurre, nei fatti, il perimetro di applicazione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori».



Le conseguenze si potrebbero tradurre in significativi benefici: «Potrebbe consentire alle imprese di medie dimensioni di assumere con maggior facilità lavoratori a tempo indeterminato, senza ricorrere a “contratti atipici” spesso impropri e precari. Da quanto sembra emergere, questi lavoratori avrebbero comunque in caso di licenziamento illegittimo le medesime tutele attualmente previste per i lavoratori delle aziende con meno di 16 dipendenti (ovvero un’indennità economica da 2,5 a 6 mesi, oltre al preavviso)». C’è un altro considerevole risvolto: «La norma sembra orientata a far si che le numerosissime imprese con meno di 16 dipendenti, che attualmente si trovano in una situazione di “nanismo” anche per evitare la disciplina sui licenziamenti, possano crescere di dimensioni e assumere».



Va da sé che una legge non può fare miracoli; gli effetti benefici si potranno determinare a patto che «ci sia lavoro e sviluppo, il che non dipende certamente in primis dall’articolo 18, ma da uno slancio e un’iniziativa reale di tutti i soggetti coinvolti, imprese, lavoratori e sindacati, prima che da nuove norme legislative. Nella stessa prospettiva della modifica dell’ambito di applicazione dell’articolo 18 credo sia da intendere anche l’altro provvedimento, attualmente allo studio del Governo, teso ad agevolare l’aggregazione delle piccole imprese». Per le microimprese con meno di 16 dipendenti, del resto, reintegrare i dipendenti che, magari dopo 2 o 3 anni, hanno vinto una causa di licenziamento, è sempre alquanto difficoltoso. «In quest’arco di tempo può capitare che i rapporti si siano logorati a tal punto da determinare un clima che rende estremamente problematico, una volta attuato il reintegro, collaborare con efficacia. Inoltre, anche nel corso di pochi anni capita sempre più spesso che l’organizzazione del lavoro abbia subito delle modifiche tali da rendere estremamente difficoltoso trovare al dipendente reintegrato una postazione adatta». 

Ricollocarlo in un ambiente aziendale più ampio, quindi, risulterebbe meno traumatico, sia per l’azienda che per il dipendente. Resta da approfondire quanto sia legittimo introdurre un simile cambiamento, che avrà un grande impatto su molte imprese, per mezzo di un Decreto Legge. «Dal punto di vista tecnico, trattandosi di legge ordinaria, lo è. Sarà, poi, il Parlamento, in ogni caso, a decidere se convalidare o meno la legge nei successivi 60 giorni». Tuttavia, «per fare un Decreto legge – conclude Pozzoli – sarebbero necessari i requisiti di necessità e urgenza. Difficile sostenere che, dopo 42 anni dall’approvazione dello Statuto dei lavoratori, non si possano aspettare alcuni mesi prima di varare una legge ordinaria con un normale percorso parlamentare. Ma anche questi consolidati principi costituzionali sembrano di questi tempi venir meno in nome di altri e superiori “interessi di Stato”».