Benché, ormai, sia stata messa a punto e il grosso del lavoro portato a termine, la riforma delle pensioni ancora non può dirsi archiviata. Sia ben chiaro: indietro non si torna. La sua struttura essenziale, le dinamiche di fondo e l’impianto generale non saranno intaccati. Restano, tuttavia, alcuni margini di manovra per correggere, limare, ammorbidire. Ogni partito dispone di una scorta di richieste e rivendicazioni da presentare, entro oggi, sotto forma di emendamenti al decreto Milleproroghe. Alberto Brambilla, esperto di previdenza, già sottosegretario al Welfare, interpellato da ilSussidiario.net spiega quali sono i correttivi da attuare in via prioritaria. «Sostanzialmente, la riforma va bene così com’è», afferma. «Andrebbe, tuttavia, ritoccata almeno su due punti». Riguardano entrambi la cosiddetta pensione anticipata, quella che un tempo si chiamava d’anzianità. «Occorre bloccare a 42 anni e un mese il tempo con il quale l’anzianità contributiva consente di andare in pensione indipendentemente dall’età. Se uno ha avuto la sfortuna di iniziare a lavorare a 16 anni e non si è potuto godere la gioventù, sarebbe decisamente iniquo non consentirgli neanche di godersi la vecchiaia».
Sempre sul medesimo fronte, «andrebbero tolte le penalizzazioni per coloro che vanno in pensione dopo 42 anni e un mese (41 e un mese se donne). Francamente, non esiste un Paese al mondo dove si lavora più di 41 anni». Si dice che ci sia un problema di copertura. Quante chance ci sono che tali modifiche siano recepite? «Spero – dice Brambilla – che i partiti su questa vicenda attivino il loro apporto positivo». Alcune criticità riguardano tutti quei giovani che si immettono ora, o si sono immessi da poco, nel mercato del lavoro. Di lavoro a progetto in lavoro a progetto, rischiano di andare sempre più tardi in pensione e con assegni striminziti. «In realtà, precisa Brambilla, un giovane che comincia adesso – e andrà comunque in pensione verso i 66-67 anni – se riuscisse ad accantonare 35-36 anni di contributi, su una vita lavorativa di 40-41 anni, prenderebbe una pensione estremamente decorosa. L’importante è che mantenga un livello retributivo decente». A tal proposito, resta da capire se la riforma del mercato del lavoro – e la relativa speranza che ne sia implementa l’inclusività – potrà limitare i contraccolpi di quella delle pensioni.
«Dobbiamo fare una netta distinzione tra la sostenibilità del sistema pensionistico e il sistema economico italiano. Se in tale sistema, infatti, l’occupazione e le retribuzioni sono le più basse di tutti i 27 Paesi dell’Ue per una serie di motivi politici, economici e sindacali, non c’è riforma delle pensioni che possa considerarsi sostenibile. Del resto, abbiamo voluto mantenere il tasso di sostituzione netto del 65%, il livello più alto in assoluto, a livello europeo. Occorre rivolgere, quindi, le attenzioni al sistema delle relazioni industriali e del sistema economico nel suo complesso per far ripartire l’occupazione e rendere la riforma pensionistica meno traumatica».
(Paolo Nessi)