Cosa cambia nel mondo del lavoro. Lunedì prossimo governo e parti sociali si incontreranno proprio per discutere le riforme e i cambiamenti in arrivo. Nei dettagli si tratta di due fronti di discussione: uno con il ministro del welfare Elsa Fornero su riforma del mercato del lavoro e sulla crescita, uno con il ministro Corrado Passera sulle attività produttive. Alla base, sembra, il disegno di legge preparato un paio di anni fa dagli economisti Tito Boeri e Pietro Garibaldi, un piano di riforme che troverebbe d’accordo anche i sindacati. Alla base, quanto indicato dallo stesso Monti: “Dovremo ridurre la frammentazione dei contratti e far andare di pari passo la riforma del mercato del lavoro con quella degli ammortizzatori sociali”. Il quale sostiene anche l’obbiettivo di dar vita a una “maggiore mobilità che protegga il lavoratore ma non renda sclerotico il mercato del lavoro” . E l’articolo 18, che tanto sta a cuore ai sindacati? Non dovrebbe essere messo in discussione. Scendendo nei particolari, l’idea alla base del contratto unico è quella di fare a meno degli oggi 48 tipi di diversi contratti di lavoro esistenti, una situazione che colpirebbe in modo negativo soprattutto giovani e donne e il cui risultato sarebbe la media più bassa d’Europa di salario, circa il 32% in meno. Ecco allora il contratto unico di ingresso, il Cui, diviso in due parti. A seconda del tipo di lavoro esso potrà avere una durata di tre anni con una seconda fase di stabilità nella quale al lavoratore vengono garantite tutte le tutele di un normale contratto di lavoro. Il periodo di prova si potrebbe allungare di tre anni terminando quindi in una assunzione vera e propria a tempo indeterminato Nel periodo di prova, come già adesso peraltro, non si applica l’articolo 18, mentre nel caso di licenziamento con motivazioni che non siano quelle disciplinari, il datore di lavoro non è tenuto a reintegrare il dipendente ma potrà versare un risarcimento calcolato nella paga di cinque giorni lavorativi per ogni mese lavorato. Il contratto a tempo determinato invece prevede uno stipendio annuo inferiore ai 25mila euro lordi con un tetto limitato. Il discorso del reddito minimo garantito è tutto da verificare. Nei Paesi dell’Europa occidentali esso infatti varia di nazione in nazione in modo evidente, dai 1350 euro lordi mensili della Francia ai 600 della Spagna. Per quanto riguarda gli ammortizzatori sociali si cercherebbe di semplificare l’attuale sistema che oggi prevede tre situazioni: cassa integrazione ordinaria, cassa straordinaria e mobilità.
Si vorrebbe cioè tornare al vecchio sistema della cassa integrazione ordinaria usata solo in caso di crisi cicliche e temporanee del settore in questione. In caso di crisi strutturale si farà uso del reddito minimo di disoccupazione, già in uso in diversi Paesi, pratica però considerata piuttosto costosa.