La situazione attuale mette in evidenza la necessità di un cambiamento strutturale delle strategie di sviluppo dell’Italia e della maggior parte dei Paesi occidentali. La crescita economica fondata sul continuo innalzamento del debito per ottenere l’incremento dei consumi, nel medio-lungo termine non regge. Può rivelarsi efficace nel breve, come la carta gettata nel fuoco, ma non costruisce nulla di solido. Lavoro, risparmio e investimenti sono la base di una sana crescita economica. Abbiamo, oggi, il gravissimo problema di trovarci all’interno di un sistema dualistico, e quindi iniquo, per cui alcuni – spesso i meno giovani – sono all’interno del mercato del lavoro e altri – i più giovani – fuori. Questa circostanza contribuisce a generare due fattori negativi per tutti:



Una grave improduttività a fronte di bassi salari, che conduce nel tempo all’insostenibilità della situazione per tutte le parti in gioco. In particolare, l’improduttività del lavoro nel settore pubblico crea oneri esagerati che ci rendono poco competitivi circa il costo del lavoro generale, contribuendo a ridurre per tutti i salari disponibili.



Un’insicurezza devastante soprattutto per i più giovani che restano fuori dal mercato del lavoro e per chi non riesce più a rientrarvi. Questo fatto costituisce un’ulteriore segnale dell’incapacità del nostro sistema ad investire e comporta una grave interruzione della catena di solidarietà intergenerazionale.

Trovo indispensabile costruire una vision efficace, necessariamente coraggiosa, che ci porti alla condivisione di un cambiamento radicale, non solo nel nostro mercato del lavoro: il tema da affrontare e risolvere è quello del dualismo, non tanto quello del mantenimento o meno dell’articolo 18!



Occorre pensare ad una revisione sistemica del mercato del lavoro che vorrei contribuire ad individuare. Vorrei sottolineare innanzitutto che il contratto a tempo indeterminato deve essere concepito e realizzato per attrarre le imprese al suo utilizzo, rendendolo il “sistema normale” della relazione lavorativa. Normalmente, infatti, un rapporto lavorativo viene impostato per durare: l’odierno contratto a tempo indeterminato, però, a causa dell’inamovibilità a cui spesso conduce, non incentiva l’azienda a questa scelta e costituisce una forte causa del dualismo. Riformando il rapporto a tempo indeterminato è necessario orientare imprese e lavoratori a una reciproca responsabilità, a investimenti prospettici, che consentano alla persona e alle aziende di costruire percorsi duraturi.

La storia insegna che l’inamovibilità del singolo non aiuta gli investimenti perché tende a deresponsabilizzare la persona e spaventa l’azienda, orientandola a non intraprendere o a utilizzare strumenti ingiustamente ed inutilmente precarizzanti. Il punto di forza delle persone nel mercato del lavoro non è costituito dall’inamovibilità del contratto ma dalla propria occupabilità. A livello di sistema bisogna dunque puntare a creare risorse più occupabili, produttive e responsabili. Come sostenere allora, se non con l’inamovibilità, un livello adeguato di security all’interno di un sistema maggiormente flessibile? Rafforzando le politiche attive e in particolare il supporto alla ricollocazione professionale, coinvolgendo le aziende in una logica assicurativa attraverso l’utilizzo di fondi interprofessionali secondo una concezione per cui chi, in qualche modo, crea il problema contribuisce anche a risolverlo facendosene carico.

Il tutto insieme a politiche di sostegno al reddito opportunamente limitate nel tempo e chiaramente rivolte ad una responsabilizzazione delle persone; la finanziabilità di queste necessarie iniziative deve derivare da imprese, enti previdenziali e Pubblica amministrazione. Le politiche attive andrebbero concepite in una logica di collaborazione pubblico-privato per supportare innanzitutto la ricollocazione di quei lavoratori che non hanno “sponsor”, o perché non hanno un contratto stabile o perché si trovano all’interno di aziende fallite (e dunque non in grado di attivare servizi di outplacement). In questi casi sistemi quali i voucher o le doti, sperimentati da diverse amministrazioni locali e basati sulla premialità dei risultati raggiunti, se rivolti a soggetti ben identificati e corresponsabilmente coinvolti, rappresentano casi di successo e dunque indicano una strada da perseguire per un welfare moderno. A patto che vi sia un’accurata selezione di interlocutori competenti, autorizzati e monitorati nel tempo.

Analogamente potrebbero essere realizzati interventi per orientare i giovani anche con l’utilizzo di risorse pubbliche. Anche in questo caso dovrebbero però essere adottate logiche di premialità per il conseguimento di una buona ricollocazione all’interno di percorsi scolastici o lavorativi, utilizzando la sinergia tra il pubblico e il privato. È molto importante costruire un tessuto di competenze, anche attraverso le agenzie per il lavoro, che sia in grado di supportare a livello sistemico la ricerca di lavoro, riducendo al massimo i tempi di inattività delle persone: si otterrebbe così un beneficio strutturale nei confronti del problema della disoccupazione poiché il sistema diverrebbe più efficiente a prescindere dalla congiuntura economica. Con un contratto a tempo indeterminato in grado di consentire una certa mobilità delle risorse nel mercato del lavoro diminuirebbe la necessità di utilizzo di forme diverse di contratto per gestire i rapporti di lavoro dipendenti. Verrebbero così meno forme di lavoro non subordinato, spesso usate impropriamente e a discapito delle persone, col solo obiettivo di spendere di meno e non incappare nel problema dell’inamovibilità delle risorse.

Sarebbe sufficiente portare queste forme ad un costo analogo a quello di un contratto di lavoro subordinato per ottenere l’obiettivo di ridurle sino a farle scomparire e dare così maggiore stabilità anche a chi contrae un impegno temporaneo, ad esempio attraverso il contratto di somministrazione che garantisce pienamente le persone impiegate come se fossero assunte dalle aziende clienti e che, a fronte di un costo più elevato, garantisce alle aziende la necessaria flessibilità. Gli impieghi a termine a questo punto potrebbero essere utilizzati solo per esigenze effettivamente temporanee e le Agenzie per il lavoro svolgerebbero sempre più l’importante ruolo di garantire al lavoratore temporaneo un adeguato supporto allo sviluppo professionale e di carriera che l’azienda utilizzatrice non sarebbe in grado di perseguire.

Già oggi infatti le agenzie sostengono le persone nella ricerca di opportunità, selezionandole e orientandole verso le migliori e applicando varie forme di tutela attraverso istituti come Ebitemp – in grado di fornire supporti integrativi – ma soprattutto attraverso supporti alla formazione resi possibili dagli accantonamenti obbligatori gestiti da Formatemp, sino a giungere alla presa in carico a tempo indeterminato dei lavoratori attraverso lo staff leasing. Una maggiore flexicurity significa la possibilità per tutti di accedere a percorsi professionali in una prospettiva di continuità anche dove il presupposto del rapporto di lavoro è temporaneo.

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