Un calo brusco e quanto mai drastico: dal 56% dei tempi di massimo fulgore (2003/ 2004) al declinante 47% di oggi (2010/ 2011); il 3+2 introdotto dalla riforma Berlinguer ha subito un precoce invecchiamento. 12 anni sono stati sufficienti perché il numero di 19enni immatricolati calasse così vertiginosamente. Perché? Andrea Cammelli, direttore del Consorzio universitario Almalaurea, raggiunto da ilSussidiario.net, spiega: «Il calo delle immatricolazioni è l’effetto combinato di diversi fattori, il più rilevante dei quali è quello demografico». Alcuni numeri non lasciano presagire nulla di buono: «Basti pensare che tra il 1985 e il 2010, i 19enni italiani sono calati del 38%». C’è stata, inoltre, una diminuzione degli immatricolati in età più adulta. «La riforma universitaria, decollata nel 2001/2002 ebbe una funzione trainante in una fascia di popolazione adulta che voleva trasformare in laurea una titolo di diploma precedentemente acquisito; mi riferisco, in particolare, al campo dei diplomi delle professioni sanitarie. Conclusasi, quindi, quest’ondata, si è determinata un’ulteriore riduzione». Vi è anche un deterioramento della condizione occupazionale dei laureati.



«Questo è percepito dalla popolazione in misura rivelante; contestualmente, si è verificata la crescente difficoltà di tante famiglie nel sostenere i costi diretti e indiretti della formazione universitaria dei propri figli». Secondo Cammelli, uno dei meriti del 3+2 era stato quello di aver permesso anche a studenti provenienti da famiglie disagiate di frequentare un corso di laurea. «Purtroppo, si è determinato un ulteriore aggravarsi delle condizioni economiche di tale fascia». Secondo alcuni, la perdita d’appeal, dipende dalla criticità insite nel meccanismo stesso del 3+2 e della sua incapacità di fornire strumenti adeguati in termini di esigenze culturali e accesso al mercato del lavoro. «Tutti i dati italiani e internazionali – replica Cammelli – affermano che la condizione occupazionale del laureato, per quanto negli ultimi dieci anni sia progressivamente peggiorata, resti pur sempre quella più favorevole dal punto di vista occupazionale. Il laureato triennale (e, ovviamente, anche chi ha fatto il +2), in Italia, ancora oggi riesce a inserirsi più facilmente nel mondo del lavoro di chi ha solamente un diploma di scuola superiore».



Stessa storia sul fronte degli stipendi: «Benché il suo reddito sia tra i più bassi d’Europa, è pur sempre superiore a quello di chi si è fermato alla scuola secondaria superiore». Il paragone, a onor del vero, per completezza andrebbe fatto tra i laureati triennali e quelli usciti dall’università con le lauree tradizionali. «È un calcolo che abbiamo fatto, mettendo a confronto le serie storiche di cui disponiamo. Ebbene: i laureati pre-riforma hanno subito un calo occupazionale pari se non leggermente superiore a quello dei loro “fratelli minori”».

Il problema, quindi, è un altro. «Abbiamo un livello di scolarizzazione tra i più bassi dell’intero complesso dei Paesi Ocse. Dobbiamo fare uno sforzo consistente, in termini di politica di diritto allo Studio; in termini, quindi, di borse di studio e prestiti d’onore, anzitutto. Quasi tutti i Paesi europei, del resto,  considerano l’investimento nel capitale umano formato come si deve uno dei punti nevralgici della crescita».