La partita sulle pensioni è tutt’altro che chiusa. Sono molti i punti in cui sarà necessario apportare sostanziali modifiche per evitare diseguaglianze, eccessivi appesantimenti e sacrifici fuori tempo massimo. Lavorare sino a 65 anni e più, per molti, potrà rivelarsi impresa ardua. Eppure, non si potrà fari altrimenti, tanto più che con il contributivo pieno le uscite anticipate o i periodi di inattività corrispondono a una significativa decurtazione sull’assegno. «Ci sono, effettivamente, delle situazioni particolari che devono essere nuovamente passate al vaglio da parte del governo. Occorrerà, in molti casi, trovare dei meccanismi che alleggeriscano il peso dell’intervento», ammette, raggiunto da ilSussidiario.net Silvano Moffa, Presidente della Commissione Lavoro di Montecitorio. Attualmente, si sta pensando, ad esempio, a modulare il carico dei lavoratori anziani sulla loro età. Questi, dopo i 55 anni, potrebbero iniziare a lavorare part-time e a percepire già una quota della pensione. Oppure, potrebbero svolgere col tempo mansioni diverse, adeguate alla loro età, come il tutoraggio dei più giovani.
Moffa ci illustra un suggerimento della Commissione: «In una proposta di legge abbiamo tentato di introdurre il proseguimento del lavoro, oltre i 65 anni, su base volontaria. Chi fosse rimasto in attività avrebbe guadagnato di più, grazie a un salario depurato degli oneri contributivi perché già raggiunti i requisiti per la pensione; d’altro canto, l’impresa, sgravata di tali oneri, avrebbe potuto conseguire un significativo risparmio». Le risorse così ottenute, si sarebbero potute vincolare a una destinazione d‘uso particolare. «Per ottenere un riequilibrio del sistema pensionistico, si sarebbe potuto utilizzarle in favore delle fasce maggiormente penalizzate o per la creazione di un fondo che favorisse l’accesso dei giovani al mercato del lavoro».
La proposta è sensata, ma non se ne è fatto niente. «Eppure, c’era una convergenza che andava da Ichino al Senato, a Cazzola, alla Camera, sino ai Radicali». Allora, perché il governo non l’ha recepita? «L’obiettivo primario è stato quello di far cassa e il profilo della volontarietà è stato scartato», spiega Moffa. «Prevedo, tuttavia, che vi siano i margini d’azione per ulteriori correttivi».
Ci sono due categorie, in particolare, che a Moffa stanno particolarmente a cuore: «Il precedente governo era riuscito a strappare, per i lavoratori usuranti uno “sconto” di tre anni, che con la manovra è stato eliminato. Inoltre, occorrerà trovare una soluzione per quei lavoratori andati in quiescenza per effetto di un’uscita anticipata dl mondo del lavoro. Si tratta soprattutto di quadri e i dirigenti, che si sono trovati ad accettare un accordo, anche di natura sindacale, per un uscita anticipata». In pratica, sono senza salario e senza pensione. «Questi, trovandosi senza cassa integrazione o mobilità, rischiano di stare diversi anni senza stipendio e di vedere allungata nel tempo la propria aspettativa di uscita dal lavoro».
(Paolo Nessi)