Doppio e infausto record sul fronte della disoccupazione; a dicembre 2011 ha raggiunto l’8,9%, in aumento di 0,1 punti rispetto a novembre e di 0,8 su base annua: è il dato più alto da gennaio 2004, quando ebbero inizio le serie storiche mensili dell’Istat. Se si prendono in considerazione, tuttavia, le serie storiche trimestrali, per trovare un livello così elevato dobbiamo andre al terzo trimestre 2001. Il tasso di disoccupazione giovanile, poi, è ancora più allarmante: si attesta al 31,0%, in diminuzione di 0,2 punti rispetto a novembre, ma in aumento di 3 sul 2010. Che il cambio delle guardia al governo potesse invertire il trend era speranza comune. Tuttavia, «la riforma del mercato del lavoro è stata connotata da una serie di annunci e dall’assenza di chiarezza circa le effettive misure da intraprendere; e, in ogni caso, non è ancora stata messa a punto», fa presente Mario Mezzanzanica, docente di Sistemi informativi all’Università di Milano Bicocca raggiunto da ilSussidiario.net. Si poteva, in ogni caso, auspicare che il nuovo governo instillasse nell’economia reale un tale surplus di ottimismo da determinare un incremento di sviluppo e, di conseguenza, dell’occupazione. «A oggi – replica -, l’indicatore di fiducia delle imprese nel futuro dell’economia rilevato dall’Istat cresce in termini negativi».



Non è tutto: «Secondo le previsioni, la disoccupazione aumenterà. Si tratta di proiezioni effettuate sui dati storici per comprendere che tipo di situazione si creerebbe se lo scenario restasse quello attuale. È evidente, quindi, che la responsabilità di chi governa si fa, in quest’ottica, ancor più stringente». Va da sé che, perché l’occupazione riparte occorre far ripartire il nostro sistema industriale e imprenditoriale. «Servono, da un lato, riforme strutturali, dall’altro, misure in grado di intervenire nel breve termine, al fine di far crescere l’economia. Finora sono state effettuati interventi di natura macroeconomica sui conti dello Stato, in grado di sistemare il bilancio e, in parte, di incidere sul tasso di fiducia di imprese e persone».



Tuttavia, il più è ancora da farsi: «Non ci sono state, ancora, riforme tali da alimentare l’economia delle nostre aziende, specie di quelle che esportano, nelle quali risiede il motore del nostro sviluppo; tali riforme avrebbero fatto crescere anche la capacità di utilizzo delle risorse economiche del nostro Paese. Ovvero, i consumi». Secondo il professore, questo circolo virtuoso non è ancora stato innescato. «C’è un problema di crescita legato alla capacità di investire in settori strategici del nostro paese; tutti i provvedimenti in grado di incidere in tal senso, una volta portati a termine, andranno collegati alla riforma del mercato del lavoro». 



È opinione comune, in buona quota del governo, che la chiava di volta di tutto sia l’abolizione o il superamento dell’articolo 18. «Non credo che sia così determinante», spiega Mezzanzanica. «L’obiettivo prioritario è l’aumento dell’occupabilità. Come già affermato su queste pagine, è necessario investire sulle persone affinché, se licenziate, possano riqualificarsi e dotarsi di competenze adeguate al ricollocamento; ed aumentare la trasparenza tra la domanda e l’offerta, puntando su un nuovo sistema di servizi del mercato del lavoro».