La raccomandazione, nel nostro Paese, è stata assunta a metodo universale di ricerca del lavoro. Almeno il 76,9% degli italiani si rivolge ad amici, parenti, conoscenti o ai sindacati per ottenere un impiego. Una percentuale che, secondo Eurostat, ci colloca sopra la media Ue, pari al 69,1%, e decisamente sopra paesi come Germania (40,2%), Belgio (36,8%) o Finlandia (34,8%). «Un dato che ci fa riflettere sul fatto che in Italia, a livello scolastico e universitario, non sono mai state attuate politiche serie di orientamento e formazione professionale omogenea a livello regionale», afferma, raggiunto da ilSussidiario.net Antonio de Napoli, portavoce del Forum nazionale dei giovani. Che ci tiene a sottolineare come «il fenomeno non sia necessariamente negativo; per “conoscenza” non si intende necessariamente la raccomandazione nel senso più deteriore del termine, ma un sano passaparola; che, tuttavia, in un Paese più civile dovrebbe avvenire con altre forme». Ovvero, secondo canali ufficiali e organici al sistema: «L’incontro tra domanda e offerta dovrebbe essere, anzitutto, mediato dalle scuole e dalle università, che sono in grado di avere un legame molto più concreto con le imprese e le istituzioni. Uno strumento molto utile è quello del placement office, servizi di orientamento al lavoro che, in alcune università, sono utilizzati bene e hanno efficacia; in altre rappresentano una linea telefonica in più». Secondo De Napoli, «ogni ateneo dovrebbe disporre di questi servizi. Potrebbero, inoltre, essere messi in rete a livello nazionale e in relazione con le camere di commercio, con le Confindustrie e gli enti locali». In ogni caso, il doversi sobbarcare interamente sulle proprie spalle il peso della ricerca del lavoro è un problema che non riguarda solo i giovani. «Non c’è una modalità omogenea da parte dello Stato di messa on line di tutte le varie possibilità esistenti. Per quanto riguarda l’accesso agli stage, ad esempio, ci si affida molto alle newsletter che la singola persona si deve andare a cercare». Resta da capire, ora che la priorità del governo è diventata la cosiddetta “fase due” e, specificatamente, la riforma del mercato del lavoro, quali sono i passi più urgenti da compiere.
«Tutti concordano sul fatto che più di 40 forme di contratto sono, effettivamente, troppe», afferma, anzitutto, De Napoli. «Posto, in ogni caso, che qualunque semplificazione non potrà mai consentire aun 30enne di ambire in tempi rapidi al posto fisso, va fatta un’importante considerazione: la flessibilità – conclude De Napoli – potrebbe essere colta come un’opportunità per avvicinarsi il più possibile alle proprie ambizioni se sarà tutelata da punto di vista fiscale e della continuità contributiva».