In principio (articolo 2, comma 1, lettera c, del decreto-legge 27 maggio 2008, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 126) la norma sulla detassazione “di produttività” previse semplici “misure sperimentali per l’incremento della produttività del lavoro”. Erano ricompresi lo straordinario, il lavoro supplementare, le innovazioni organizzative volte a incrementi di produttività, innovazione ed efficienza. Non erano richiesti agli imprenditori altri adempimenti se non quello dell’eventuale dimostrazione delle azioni messe in atto.



Nel 2010 le regole cambiarono. Con coraggio fu scritto l’articolo 53 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, sul “Contratto di produttività” che, se da una parte raddoppiò il limite complessivo dell’importo erogato (diventato 6.000 euro) e alzò la soglia di reddito da lavoro dipendente dei beneficiari (40.000 euro), ampliandone la platea, dall’altra condizionò il godimento della detassazione alla “attuazione di quanto previsto da accordi o contratti collettivi territoriali o aziendali”. “Con coraggio” perché la nuova norma fece infuriare le imprese, in particolare quelle piccole, bisognose di reperire risorse, ma assolutamente contrarie a fare entrare il sindacato in azienda, se non addirittura a trattarci.



La disposizione, per quanto foriera di critiche, non fu un errore del Ministero competente, bensì un esplicito tentativo di sostenere indirettamente la contrattazione di secondo livello, inserendosi in quel (troppo) lento processo di decentramento in atto dal 1993. Queste le intenzioni. La realizzazione fu tutt’altra: furono fotocopiati e sottoscritti in sede territoriale accordi collettivi costruiti sui tavoli di negoziazione nazionale, addirittura segnalando coi classici “puntini” le parti specifiche da riempire. Questa gigantesca operazione di elusione fu, seppur malvolentieri, accettata dalla Agenzia delle Entrate e, di fatto, si annullò il progetto ministeriale. Si procedette come prima, semplicemente con un obbligo in più (la firma dell’accordo).



2012: nuovo Governo, nuove modalità e nuovi vincoli di bilancio. Anche i fondi per la produttività subiscono i tagli. Il Consiglio dei ministri prova, quindi, ad addolcire la forte stretta sul numero dei beneficiari e sulla cifra stanziata (reddito da lavoro non superiore a 30.000 euro e beneficio di 2.500 euro) strizzando l’occhio alle imprese e tornando alle modalità di erogazione del beneficio previste nel 2008.

Le Parti sociali non ci cascano e, prima del Governo, si accorgono che alle condizioni attuali l’intervento sul cosiddetto salario di produttività è l’unico escamotage vero, effettivo subito, oltre gli slogan, per abbassare il costo del lavoro. La stretta sui fondi viene aspramente criticata e sia i sindacati che le associazioni datoriali richiedono al ministero del Lavoro nuovi fondi. Il Ministro capisce l’esigenza di fondo, ma prova a mettere sul tavolo soluzioni alternative, non proprio chiare e di dubbia realizzazione: allineare la curva dei salari a quella della produttività pagando meno i lavoratori anziani, premiare le imprese che compilino il “bilancio del capitale umano”, costruire nuovi incentivi all’occupazione, ecc.

Ancora una volta le Parti sociali annusano la fregatura e, siamo all’oggi, convincono il Governo a un deciso cambio di rotta, testimoniato dalla norma sulla detassazione di produttività contenuta nella Legge di stabilità dell’altro giorno. Merito del Consiglio dei Ministri è certamente avere capito che se tale soluzione è chiesta da tutti, indipendentemente dalle dietrologie, qualche merito deve averlo. Il 9 ottobre sono quindi stati destinati 1,6 miliardi alla detassazione per gli anni 2013-2014, a disposizione dell’accordo che sarà raggiunto dalle Parti sociali.

Questa è la prossima puntata della lunga saga. Imprese e sindacati riusciranno a chiudere a breve l’accordo sulla produttività al quale lavorano ormai da più di un mese? Non si intravedono ancora bozze avanzate di accordo. Lo Stato ha fatto la sua parte, come richiestogli. Ora tocca alle relazioni industriali concordare soluzioni che certo siano orientate al maggiore netto in busta paga del lavoratore e all’abbassamento del costo del lavoro. Ma che non dimentichino quanto sia importante aumentare davvero la produttività per riattivare crescita e, quindi, occupazione.

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