Un buco nelle casse Inps da 10,2 miliardi di euro. E’ il disavanzo patrimoniale lasciato in eredità dall’Inpdap, l’ente che gestiva la previdenza dei dipendenti pubblici fino alla fusione decisa con il decreto Salva Italia. E’ quanto si è scoperto dalla nota di assestamento al bilancio 2012 dell’Inps, che fa venire alla luce una prassi consolidata da parte dell’amministrazione pubblica, sintetizzata dal Corriere della Sera con l’espressione “lo Stato evadeva i contributi”. Un articolo che ha portato ieri sera Ministero del Tesoro e del Lavoro a diramare una nota congiunta per spiegare che la sostenibilità del sistema previdenziale resta confermata. Ilsussidiario.net ha intervistato Luca Spataro, professore di Economia politica all’Università di Pisa ed esperto di sistemi previdenzali, per capire meglio la situazione.



Professor Spataro, a risultare fallimentare è stata l’operazione di fusione tra Inps e Inpdap?

No. La fusione rientrava in un’ottica di razionalizzazione degli enti previdenziali che in Italia sono fin troppo numerosi. Era necessaria per abbattere i costi e realizzare delle economie di scala. L’operazione di messa in ordine dei costi ha fatto emergere ciò che in molti non sapevano, e cioè che l’Inpdap aveva un problema contabile legato al fatto che le amministrazioni pubbliche non versavano la quota dei contributi previdenziali di loro competenza. Ciò si può fare, perché il nostro è un sistema a ripartizione, in cui i contributi dei lavoratori vanno a pagare le pensioni correnti e quindi per un certo periodo la cassa può non risentire di questi omessi pagamenti. Con il tempo, però, ci si è resi conto del fatto che si tratta di una prassi insostenibile.



Può spiegare che cos’è il sistema a ripartizione?

I contributi dei lavoratori non vanno ad alimentare un fondo di investimento, bensì a finanziare le pensioni correnti. Tutto si basa sulla promessa che quando gli attuali lavoratori andranno in pensione, le generazioni future faranno lo stesso con loro. Altro discorso è quello relativo alla previdenza complementare o integrativa e alle polizze con partecipazione, in cui i contributi dei lavoratori alimentano un fondo che servirà loro quando si ritireranno. La quota è presente fisicamente, serve per alimentare le pensioni e dopo 30 o 40 anni di investimenti è destinata allo stesso lavoratore che ha versato i contributi.



In che senso, come scrive il Corriere, “lo Stato evadeva i contributi”?

L’aliquota previdenziale del 33% è suddivisa in due parti. Una è a carico del lavoratore ed è pari a circa l’8,75%, l’altra è a carico del datore di lavoro ed è pari al 24,2%. La prima parte è decurtata dalla busta paga e quindi da questo punto di vista non ci sono problemi. La seconda, però, per i dipendenti pubblici deve essere girata dallo Stato e dalle altre amministrazioni all’istituto previdenziale di competenza. Qualcosa però non ha funzionato, almeno fino a quando nel 1996 l’Ue ha sollecitato maggiore trasparenza nei conti, chiedendo che lo Stato versasse la sua aliquota di competenza alla cassa dei trattamenti pensionistici. Non tutte le amministrazioni locali però l’hanno fatto, e quindi si sono accumulati dei debiti non riscossi da parte di Inpdap che adesso sono venuti a galla. Ma quella emersa è solo una parte del problema.

 

Che cosa ci dobbiamo aspettare ancora?

Si tratta di una vicenda che deve fare riflettere anche sulla gestione della previdenza integrativa. I lavoratori delle imprese private con più di 50 addetti che decidono di lasciare il loro Tfr all’azienda, versano i loro contributi al fondo di tesoreria dell’Inps. Dal 2010 in poi queste somme sono state prelevate per alimentare la spesa corrente dello Stato. Si è trattato di una misura di emergenza, nel contesto di una crisi internazionale, e la Corte dei conti per due anni consecutivi ha messo in evidenza l’anomalia di questi prelievi. Dobbiamo infatti ricordarci che si tratta di somme che devono essere contabilizzate sulla previdenza integrativa, e quindi devono essere ripristinate perché altrimenti rischiamo di alimentare ulteriore debito pubblico.

 

I fondi integrativi dei dipendenti pubblici invece sono al sicuro?

Anche in questo caso esistono diverse situazioni problematiche, per esempio quella di Espero, il fondo dei dipendenti della scuola. Potenzialmente Espero può generare gli stessi squilibri che l’Inpdap ha prodotto sui conti Inps. Lo Stato infatti non versa l’intera aliquota di sua competenza, bensì soltanto una parte, con il tacito accordo che in futuro integrerà la parte mancante. Si tratta di un’altra anomalia, così come quella di altri fondi statali, perché il rischio è che lo Stato si trovi fra 20 o 30 anni a non poter più erogare le pensioni integrative di questi lavoratori.

 

(Pietro Vernizzi)