In questi giorni nei quali si discute ancora una volta della riforma del lavoro del Ministro Fornero e di aggiungere più o meno flessibilità è giusto studiare gli effetti che tali cambiamenti possono avere su alcuni determinati settori. Un segmento dell’economia che necessita molta flessibilità è certamente quello turistico che ha dei picchi legati molto forti legati alla stagionalità. Bisogna anche ricordare che tale stagionalità, con la crescita del turismo low cost e del business travel, può essere limitata in parte, ma è indubbio che l’estate rimane il momento in cui le strutture vengono riempite. Ma quanto vale il settore sull’economia?
Molte stime o studi sono stati effettuati, con numeri a volte spropositati. Alcuni politici hanno posto obiettivi quali arrivare al 20% del Prodotto interno lordo, che equivale a circa cinque o sei milioni di occupati nel settore, ma tali numeri sono certamente esagerati. L’ultimo studio indipendente effettuato dall’Istat, il Conto satellite del turismo, in collaborazione con importanti università ha invece evidenziato che l’impatto diretto del settore turistico è di circa il 6% dell’economia. Un valore che con l’effetto indiretto potrebbe al massimo arrivare al 10% del Pil. Tali numeri lasciano presupporre che essendo il turismo un settore ad alta intensità di lavoro vi possano essere impiegati al massimo 2,5 milioni di persone direttamente e indirettamente. Un numero non piccolo, ma certamente lontano dai cinque milioni di occupati che, anche se non esplicitamente, sono stati un obiettivo di molti governi.
L’Italia rimane un Paese importante per il numero di pernottamenti, il quinto dietro Stati Uniti, Francia, Spagna e Cina, ma nel corso degli anni ha perso competitività. Vi sono diverse cause per questa perdita che vanno dalla mancanza di strutture recettive moderne in alcune zone del Paese a un’alta tassazione, che crescerà ancora a partire dal prossimo luglio, fino a una flessibilità del lavoro non adeguata. L’eccessiva tassazione passa attraverso l’entrata in vigore della tassa di scopo quale la tassa di soggiorno che può arrivare fino a cinque euro per pernottamento per persona, all’incremento dell’Iva all’11%.
È stato dimostrato da un’analisi del centro studi di Federviaggio quale sia l’effetto negativo dell’incremento della tassazione nel momento in cui l’Italia deve confrontarsi con la competizione dei paesi vicini. Forse tuttavia l’elemento chiave per il settore non è solo la tassazione, ma la maggiore flessibilità che serve per seguire l’andamento stagionale del settore.
Se la riforma toglierà parte della flessibilità esistente vi è il serio rischio che il valore aggiunto del segmento possa retrocedere; e questa riforma potrebbe essere la beffa oltre al danno della recessione che rischia di trascinare verso il basso un settore che è fortemente legato all’andamento dell’economia. Se le aziende non hanno gli strumenti adeguati per legare l’andamento del business alla produttività vi è il serio rischio di cadere ancora nella classifica mondiale dei paesi ricettivi.
Nel corso degli ultimi tre decenni l’Italia ha perso numerose posizioni e se le decisioni politiche continueranno nella direzione di maggiori tasse e minore flessibilità del mondo del lavoro è molto probabile, se non certo, che l’Italia perderà presto anche la quinta posizione.